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Piazza Vittorio Emanuele, la piazza centrale della cittadina, è dominata dalla candida mole del duomo dedicato a San Michele arcangelo, con l’ampia scalinata, l’incompiuto campanile iniziato nel 1531 su disegno di Giovanni da Udine e le porte bronzee realizzate da Nino Gortan nel 1982
(Crocifissione e Risurrezione per il portale centrale, gli evangelisti
Giovanni e Luca per il portale laterale destro, Marco e
Matteo per quello sinistro). L’edificio originario venne ampliato nel
XV secolo e nel 1707-25 il ticinese Domenico Rossi da Morcote realizzò la fastosa facciata d’ispirazione palladiana, mentre altri architetti provvidero al rifacimento del presbiterio e della navata. L’interno, a tre navate con due cupole, conserva alcune opere degne di menzione: una croce processionale quattrocentesca e calici dei secoli
XV-XVI nel tesoro; il grande fonte battesimale in pietra bianca culminante nella statuina del
Precursore, scolpito da Carlo da Carona nel 1510; la celebre pala dell’altare della Trinità dipinta nel 1534 da Giovanni Antonio De’ Sacchis detto il Pordenone; le tele raffiguranti lo
Sposalizio della Vergine e la Circoncisione di Gesù, copiate da Pomponio Amalteo nel 1569 dalle ante (poi perdute) dipinte nel 1528 dal Pordenone per un’ancona destinata al duomo di Venzone e ora al centro dei due trittici sulle pareti del presbiterio; gli stalli lignei del coro, intagliati dai fratelli cividalesi Rizzani nel 1741; i tre bozzetti raffiguranti
San Giovanni elemosinario, l’Assunta e la Decollazione del
Battista, preparati verso il 1734 da Giambattista Tiepolo per gli affreschi progettati ma mai eseguiti per la chiesa della Fratta.
Sul lato sinistro della piazza antistante il duomo si staglia il palazzo del Monte di Pietà, con loggia a bugnato rustico al piano terra e grande bifora centrale al piano superiore, costruito nel 1769-75 dal tolmezzino Domenico Schiavi su progetto del veneziano Matteo Lucchesi, mentre sul fianco sud del tempio un’altra bianca mole sembra vigilare sulla cittadina: è l’antico palazzo comunale, con portico su cinque basse arcate al pianterreno sovrastato da un’elegante trifora aperta sulla piazza, eretto a partire dal 1415 e rimaneggiato nel Cinquecento e nel Settecento, che ospita l’Archivio storico, ove sono conservati documenti risalenti fino al secolo
XII, e il nucleo antico della Biblioteca Guarneriana, la più antica biblioteca pubblica del Friuli e una fra le più antiche d’Italia, che prende il nome dal suo fondatore, il canonico e umanista Guarnerio d’Artegna. Discendente dal ramo pordenonese dell’antica prosapia dei signori
de Artenea, entrato in contatto con i maggiori studiosi dell’epoca a Roma, in età
avanzata egli si ritirò nella pieve di San Daniele, cui alla sua morte, nel 1466, lasciò (sotto il controllo comunale e a condizione che «se alcuno volesse leggere o studiare potesse farlo nella stessa libraria e non altrove») gli oltre centosessanta codici che aveva raccolto o fatto copiare e miniare dai più importanti testi della classicità e del suo tempo. Fra essi la
Bibbia Sacra detta Bizantina, mirabilmente scritta e illustrata a Gerusalemme nel tardo
XII secolo, giunta a Guarnerio dagli eredi del patriarca Antonio Panciera e in questi ultimi decenni particolarmente studiata «per il suo notevole peso nella storia dell’arte miniatoria».
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Le raccolte della Guarneriana aumentarono soprattutto
nel 1734, quando lo storico sandanielese Giusto Fontanini donò
ad essa migliaia di manoscritti, incunaboli ed edizioni rare.
Fra i testi più notevoli vanno ricordati una Bibbia, detta
Atlantica, realizzata forse a Spoleto alla fine dell’XI
secolo, una Divina Commedia trecentesca miniata di provenienza
toscana, commentata in volgare e in latino, un Missale romanum
del XV secolo di scuola parmense e una copia miniata patavina
del Canzoniere e dei Trionfi di Petrarca, del
1497. Degna di nota è inoltre la sala Fontaniniana, con scaffalature
in noce massiccio costruite nel 1742-43 con i denari appositamente
lasciati dall’erudito prelato.
A poca distanza dal duomo si erge la chiesa di Sant’Antonio abate (non più officiata): sorta per volontà della “fraterna” dedicata al santo eremita, essa fu consacrata nel 1308 per offrire conforto
spirituale ai degenti dell’attiguo “pio ospedale di Sant’Antonio”, in cui i “fratelli” accoglievano e assistevano orfani, ammalati, poveri, pellegrini e viandanti. Gravemente danneggiata dal violento sisma del 1348, la chiesa fu ristrutturata nel rispetto delle forme originarie e arricchita con affreschi tardogotici ispirati ad episodi dell’infanzia di Cristo (parete sinistra, inizi del xv secolo). Nel 1441 fu rifatta con l’aggiunta del coro; nel 1470 fu impreziosita dall’elegante facciata in pietra d’Istria con il rosone traforato dotato di clipeo centrale raffigurante la
Madonna col Bambino e con il portale ogivale strombato, nella cui lunetta è scolpito
Giovanni Battista fra i santi Antonio abate e Antonio da Padova; infine, nel 1487-90 fu completata con vetrate policrome, caso raro in regione. Fra il 1497 e il 1522, la confraternita antoniana incaricò più volte il pittore Martino da Udine, meglio noto come Pellegrino da San Daniele, di affrescarne le pareti. Alla fine del Quattrocento egli eseguì il
Cristo benedicente con evangelisti, profeti e angeli nelle vele minori del coro e le dieci sante a mezzo busto nel sottarco fra coro e presbiterio; dopo il 1513, in tempi diversi, decorò l’abside con la magnifica Crocifissione (tranne la parte sinistra, opera di collaboratori), le vele e le pareti del presbiterio con dottori della Chiesa, profeti e scene delle vite di Cristo e dei santi Antonio abate e Antonio da Padova, l’arco trionfale e le pareti della navata con numerose figure di santi, altri episodi tratti dalla vita di Cristo e la
Benedizione di sant’Antonio abate ai membri della confraternita. Pitture in cui Pellegrino, se dapprima denuncia l’influsso di una modesta cultura artistica provinciale, dimostra poi la capacità di aprirsi alle novità dell’arte pittorica del suo tempo, entro un programma iconografico unitario di efficace resa scenografica (valorizzata dai recenti restauri) che fa di queste sue pitture murali «il più bel ciclo di affreschi rinascimentali della regione».
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