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L’abito da sposa
Il costume, ossia l’abbigliamento, ̀ il codice identiicativo di uno status so-
ciale, ma anche di appartenenza a un luogo; in tal contesto va collocato l’abito
da sposa di Tramonti di Mezzo risalente al XVIII secolo, di probabile dote
popolana, esposto presso la “Casa della Conoscenza” a Tramonti di Sotto. Si
tratta di una fedele riproduzione dell’originale (a opera delle mani esperte di
Antonella Vizzon) che fu donato dagli studiosi D’Orlando e Perusini al Museo
delle Arti e Tradizioni Popolari di Udine dove ̀ tutt’oggi preservato.
L’abito originale fu esposto anche alla Mostra del costume delle Alpi Car-
niche tenutasi a Forni di Sopra nel 1959; in quell’occasione la studiosa An-
dreina Ciceri scriveva: “la pì luminosa stagione per il nostro costume fu il
Settecento ed ̀ un costume tramontino del 1700, il pì antico fra le vesti
raccolte in questa mostra. ̀ un abito composto da gonna e corpetto aperto
davanti, in pesante tessuto color avorio, con minuti disegni policromi. La
giacca, sotto il corpetto, ̀ di cotone blu e lascia intravedere il collo della
camicia bordata da un merletto. Il grembiule ̀ in leggero cotone bianco con
piccole pieghe a tutt’altezza e ricamo a iori lungo l’orlo inferiore. Fazzoletto
bianco al collo con le estremit̀ ripiegate entro la giacchetta. In capo un
fazzoletto in lino bianco con ricchi tramezzi a merletto”.
Il grembiule di tela di cotone bianca, negli anni successivi al XVI secolo
viene indossato per praticit̀ ma anche come capo d’abbigliamento festivo
(“una femina cencia grimal a ̀ comi una vacja cencia coda”). ̀ lungo quanto
la gonna o poco sopra l’orlo della stessa.
Nel Settecento le donne del popolo indossano abiti con molti teli (fino
a sette) con numerose increspature alla cintura e lunghi fino alla cavi-
glia; il corpetto smanicato ha il collo a V con allacciatura cordonata fino
all’altezza della cintura.
In ogni dote sono menzionati fazolets da cĵf e, sul capo della donna tra-
montina nella prima met̀ del Settecento, appare il mant̂l, una pezza di
tela bianca, solitamente di lino, semplice o lavorata. Pù essere “doppio e di
bonbaio” per le solennit̀. Un altro tipo di fazzoletto che non ha per̀ l’impor-
tanza di quello da cĵf ̀ la gol̀ta, che avvolge il collo e le spalle; ben sedici
gol̀tas appaiono in un patto dotale del Settecento.
Per le donne di popolo di quell’epoca non ci sono ornamenti di alcun
genere. Bisogna attendere la ine dell’Ottocento per trovare fedi nuziali di
rame o d’argento.
Nel Novecento le popolane portano in dote non pì di uno o due abiti, a
volte rattoppati, che mantengono la lunghezza in foggia nel Settecento ma
che riducono il numero dei teli a quattro soltanto; l’arricciatura, l’ingrisp̂t,
si concentra sui ianchi. Il vist̂t nuvicîl ̀ di cotone o di lana (secondo la
stagione), di color grigio-cenere o blu oppure a righe, a quadri o a piccoli
disegni se la donna che lo indossa ̀ una giovane sposa. Il corpetto (bolerin)
̀ di cotone, con scollo arrotondato e maniche arricciate chiuse a polsino.
Pì di qualche sposa doveva accontentarsi dei cjamesots, abiti usati che
riceveva in dote, e che consistevano in una gonna a pì teli sbiechi e cor-
petto senza maniche.
Nel XIX secolo l’abito nuziale diventa poi l’abito da festa. A volte po-
teva essere nero con lacci colorati in vita. In testa un vel di tulle bianco
ricamato a mano su due angoli che veniva poi usato anche per la messa
di purificazione dopo il parto o per le processioni. Questo capo veniva
trasmesso di generazione in generazione e usato per la prima comunione
dalle figli e dalle nipoti.
Las scarṕtaz (scarpe di velluto nero con suola in piecia e punta all’in-
s̀) potevano, per l’occasione, venir sostituite con scarpette scollate con
un iocco in punta.
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