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Venzone
Passaggio obbligato tra l’Italia e i paesi dell’Europa
nord-orientale, fin dalla preistoria Venzone fu sede di diversi
insediamenti: a est dell’attuale cittadella murata si conservano
tracce di un castelliere insediato fra il xii e l’xi secolo a.C. da
popolazioni paleovenete. Verso il 500 a.C. il territorio conobbe la
presenza celtica, alla quale seguì nel iii secolo a.C. quella dei carni
(anch’essi di stirpe celtica) e infine dei romani, sotto i quali, nel
i secolo a.C., Venzone fu sede di una statio nel luogo dell’attuale
duomo e forse di un castrum. Dalle indagini archeologiche condotte
all’interno del principale edificio sacro è stata poi evidenziata
a conferma della continuità degli insediamenti nel sito la presenza
di un luogo di culto probabilmente già costruito nel vi secolo, al
quale fanno seguito le fasi longobarda (secc. vii-viii), carolingia
(secc. ix-x), ottoniana (secc. x-xi) e duecentesca.
L’attuale duomo romanico-gotico di Sant’Andrea
apostolo fu iniziato nel 1300 con l’apporto (non è noto se unicamente
come scultore o anche come architetto) di quello stesso maestro Giovanni
che qualche anno prima aveva operato al duomo di Gemona. Fu poi
consacrato nel 1338 dal patriarca Bertrando, che venne immortalato
insieme agli altissimi prelati del suo seguito in un affresco visibile
all’interno, eseguito probabilmente subito dopo il 1365, quando
Venzone, dopo quindici anni di dominio austriaco, tornò sotto il
controllo del Patriarcato.
Distrutto dal terremoto del 1976,
l’edificio con le due caratteristiche torri addossate alle absidi
(caso unico in Friuli) è stato ricostruito per anastilosi. La facciata
principale, dalla semplice struttura a capanna, presenta un avancorpo
con portale in stile gotico fiorito dell’inizio del Quattrocento, di
maestro Scaco, la cui bella lunetta con la Crocifissione (metà sec. xiv)
è lavoro di grande potenza espressiva.
Tra i numerosi rilievi e le sculture che abbelliscono l’esterno del
duomo, si distingue poi la decorazione scultorea dell’avancorpo della
facciata settentrionale del transetto, opera di maestro Giovanni (1308);
nella lunetta del portale è raffigurato il Cristo benedicente con i
simboli degli evangelisti; lungo l’archivolto, un elegante fregio
vitineo è affiancato dalle figure ad altorilievo dei Santi Pietro e
Andrea, che sovrastano le figurine rannicchiate dei loro persecutori.
L’interno, che attende di potere riospitare numerose opere originali
tuttora in restauro, si sviluppa in pianta a croce latina triabsidata,
con la navata ad aula unica che si congiunge al presbiterio mediante due
grandi arcate che oltrepassano il transetto.
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Sul sagrato del duomo, la cappella cimiteriale romanica a pianta circolare dedicata a San Michele, edificata intorno alla metà del
xiii secolo e modificata nel Trecento con l’aggiunta dell’abside
semicircolare, sopravvisse al sisma del 1976 soltanto per la parte
seminterratata (la cripta): ricostruita, essa conserva del suo arredo
originario il gruppo scultoreo ligneo del Compianto sul Cristo morto,
realizzato nella prima metà del xvi secolo da un intagliatore tedesco,
e ospita il Museo delle mummie, che raccoglie le quindici salme
superstiti fra le numerose conservatesi per un processo naturale e
recuperate a partire dal 1647 nel sottosuolo del duomo.
Tra le più belle piazze della regione, piazza Municipio è il centro
sul quale si affacciano numerosi edifici storici quattro-cinquecenteschi,
ma soprattutto il magnifico palazzo comunale, costruito a cavallo tra il
xiv e il xv secolo, rifatto nel 1547 in stile rinascimentale e per due
volte interamente ricostruito. L’edificio, a due piani, comprende una
loggia scandita da otto arcate a tutto sesto, sormontata dal salone
consiliare, al quale si accede da uno scalone monumentale, esternamente
ingentilito da una serie di bifore goticofiorite di tipo veneto-toscano
e dal portale in stile gotico veneziano; l’angolo della piazza si
sviluppa maggiormente in altezza per la presenza della cinquecentesca
torre dell’orologio, che racchiude entro una nicchia un leone di san
Marco del 1543. La loggia
è ornata da affreschi dipinti nel 1584 da Pomponio Amalteo raffiguranti
la Madonna col Bambino
tra i santi Andrea e Giovanni Battista, il leone di
san Marco e le personificazioni delle virtù del buon giudice, alle
quali si sovrappongono massime in latino che ne esplicitano il significato. La sala consiliare presenta lungo la
parete sud un affresco staccato da casa Binfar raffigurante
Sant’Eligio e due cavalieri giostranti, opera di un pittore locale
attivo nella prima metà del xiv secolo.
Emblema della cittadella venzonese sono senza dubbio le mura di origini
duecentesche, che ne fanno l’esemplare principe in Friuli (dopo gli
abbattimenti ottocenteschi) della tipologia delle città fortificate
presenti nel Medioevo, qui come in tutta la penisola. Anch’esse furono
quasi completamente atterrate nel 1976: ma la possente, austera cerchia
turrita a duplice cortina circondata da fossato è stata in gran parte
ricostruita e oggi racchiude ancora le diciotto insulae del borgo
medievale entro un esagono irregolare, originariamente lungo circa
milletrecento metri. Delle tre torri portaie che consentivano di
regolare l’accesso dall’esterno, unica superstite è la porta di San
Genesio, del 1309, essendo state demolite le altre nel xix secolo.
Fuori le mura, ai piedi del monte Belede, le due chiesette dedicate ai
Santi Giacomo e Anna e a Santa Caterina, ricostruite dopo il terremoto
del 1976, sono entrambe caratterizzate dalla presenza di un ampio
portico antistante al corpo dell’aula, internamente rivestita da un
soffitto a capriate. La prima fu probabilmente edificata intorno al x-xi
secolo: risalgono all’iniziale fase di vita dell’edificio i due
bassorilievi attualmente collocati ai lati dell’arco trionfale
raffiguranti i santi Pietro e Paolo. Nel corso del Trecento la chiesa
venne notevolmente ingrandita e successivamente dotata del portico
(1525). All’interno, della decorazione pittorica dell’aula si
conserva un solo lacerto di affresco staccato con la Trinità e un
episodio della vita di San Francesco (seconda metà sec. xvi); nel
presbiterio invece, fino al terremoto del 1976 si poteva ammirare un
ciclo di affreschi «alla maniera spilimberghese», risalenti alla
seconda metà del Trecento, di cui oggi restano alcune porzioni
restaurate, con l’Annunciazione sulla parete di fondo, gli Apostoli
sulle pareti laterali, il Cristo benedicente con i simboli degli
evangelisti sulla volta a botte. Sopra la mensa dell’altare di destra
si conserva inoltre una scultura policroma in legno raffigurante il
santo titolare (scuola tedesca, sec. xvi).
La chiesetta dedicata alla santa martire ha invece origini
quattrocentesche. All’interno, delle antiche raffigurazioni ad
affresco restano la scena con il Matrimonio mistico di Santa Caterina di
Alessandria (inizio sec. xv), sulla parete destra dell’aula, e un
lacerto con un motivo floreale e un’aquila ripetuti a stampo (secc.
xv-xvi), nel presbiterio; sulla sinistra dell’aula si trova invece la
copia di una scultura lignea policroma che rappresenta la santa con la
ruota del martirio e con un piede sul suo persecutore, attribuita ad
Antonio d’Incarojo (1497). Dalla chiesa distrutta sono stati inoltre
recuperati l’originale della scultura suddetta e la coeva ancona
lignea dell’altare dell’abside, forse dello stesso autore.
Pure fuori dalla cerchia murata, la chiesa parrocchiale di San
Bartolomeo a Portis era stata riedificata nell’Ottocento su un
precedente edificio duecentesco, ma è stata quasi interamente distrutta
dal terremoto. Dalla devastazione si sono comunque salvate alcune opere,
tra le quali un grande crocifisso ligneo della fine del xiii secolo,
opera di bottega friulana, attualmente conservato nella chiesa nuova
(1990-1991). |
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