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architettura religiosa romanico-gotica, che si
sviluppa nel luogo di preesistenti edifici cultuali di epoca carolingia,
ottoniana e romanica. Iniziato nel 1290 da maestro Giovanni (come recita
un’iscrizione in facciata) e consacrato nel 1337, subì nei secoli
numerosi rimaneggiamenti e restauri: tra il 1825 e il 1828, in
particolare, venne risistemata la facciata, con la suddivisione in tre
scomparti verticali e lo spostamento di alcune sculture. Parzialmente
distrutto dai terremoti del 1976, così come la trecentesca torre
campanaria, è stato infine ripristinato mediante anastilosi.
All’esterno la facciata a salienti è caratterizzata dal portale
romanico, dall’elegante rosone centrale di maestro Buceta (1334-1336)
affiancato da due rosoni minori, e da numerose opere scultoree, tra le
quali l’originale galleria dei re Magi (prima metà del xiv secolo)
attribuita a Giovanni Griglio, autore anche, insieme al figlio,
dell’imponente San Cristoforo scolpito a mezzo tondo sul lato destro
(1331-1332); sul retro, l’abside semipoligonale (1429) è alleggerita
da tre slanciati finestroni gotici e rinforzata da quattro contrafforti.
L’interno è a tre navate con volte a crociera separate da due file di
possenti colonne in marmo rosso con capitelli gotico-fioriti, su cui
poggiano alti archi gotici. A un livello inferiore, la cripta è
ricavata da quello che un tempo era un edificio distinto: il sacello dei
Santi Michele e Giovanni Battista, piccolo oratorio interamente
affrescato (sulla parete di fondo, San Michele arcangelo, San Cristoforo
e Crocifissione con Maria, Giovanni, Longino e Stefano; lungo la parete
destra e su quella d’ingresso, figure di santi; sulla volta, che finge
un cielo stellato, Cristo benedicente con i Simboli degli evangelisti).
Autore del ciclo, presumibilmente compiuto entro la metà del secolo xiv,
è il pittore gemonese Nicolò di Giacomo, di cui si conosce
un’autografa Madonna della misericordia affrescata nella chiesa dei
Templari a San Tomaso di Majano. Tra le numerose opere conservate nel
duomo ricordiamo: la vasca battesimale nella cappella feriale, ricavata
da un’ara sepolcrale romana del i-ii sec. d.C., con bassorilievi
altomedievali (secc. ix-x); gli splendidi codici liturgici miniati
(secc. xiii-xiv) acquistati a Padova a metà del Trecento; il prezioso
ostensorio di Nicolò Lionello, capolavoro di oreficeria sacra
realizzato nel 1434 per la pieve di Santa Maria; un crocifisso ligneo di
scuola friulana della prima metà del xv secolo, gravemente mutilato dal
terremoto del 1976 e divenuto in seguito simbolo della rinascita
di Gemona; la grande tela con l’Assunzione della
Vergine, dell’udinese Gian Battista Grassi (1577).
Usciti dal duomo si imbocca via Bini, sede
dell’antico nucleo cittadino sorto ai piedi del castello, che conduce
al rinascimentale palazzo del Comune. Iniziato nel 1502 in stile
veneto-lombardo su progetto dell’architetto udinese Bartolomeo de
Caprileis detto Bòton, ma soggetto ad alcune modifiche e aggiunte nei
secoli successivi e ricostruito per anastilosi dopo il terremoto, si
caratterizza per le tre |
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ampie arcate della loggia, riecheggiate dalla
trifora al piano superiore.
Altri edifici storici prospicienti la via sono: palazzo Gurisatti (sec.
xv), con portico a doppia arcata sovrastata da un’elegante trifora
gotico-fiorita; la neogotica casa D’Aronco (sec. xix), con
caratteristici balconcini d’angolo; la medievale casa Antonelli (secc.
xiii-xiv), con paramento della facciata in cotto e doppia bifora; il
grandioso palazzo Elti, costruito nel Quattrocento dai nobili De Cramis
e acquistato nel 1519 dal mercante di origine salisburghese Andrea Helt,
che provvide a ristrutturarlo. Attualmente l’edificio è sede museale:
vi si conservano due sculture di area salisburghese degli inizi del xv
secolo, rispettivamente provenienti dal duomo e dal santuario di
Sant’Antonio; la collezione Fantoni-Baldissera (quadri e bozzetti di
autori per lo più austriaci e tedeschi del xviii secolo); dipinti,
sculture e oreficerie dalle collezioni comunali e dalle chiese gemonesi
distrutte e non più ricostruite. In particolare si segnalano: la tavola
con la Madonna con Bambino di Cima da Conegliano, già nella chiesa di
Santa Maria delle Grazie, del 1496; la tela di Pellegrino da San Daniele
raffigurante Madonna con Bambino tra i Santi Giuseppe ed Elisabetta,
dalla stessa chiesa, realizzata entro il 1506 e sei lacunari dipinti da
Pomponio Amalteo nel 1533 per il soffitto a cassettoni lignei della
distrutta chiesa di San Giovanni Battista.
Tra gli edifici ricostruiti filologicamente dopo il
sisma del 1976 ricordiamo la chiesa di Santa Maria del Fossale, di
origini secentesche, e la chiesa di San Rocco, eretta agli inizi del
Cinquecento; in linee moderne sono stati invece riedificati il convento
di Santa Maria degli Angeli e il santuario di Sant’Antonio. A seguito
del terremoto sono inoltre venuti alla luce due importanti cicli
pittorici di cui si ignorava l’esistenza. Nella già ricordata casa
Antonelli sono emersi originali affreschi della prima metà del xiv
secolo, raffiguranti soggetti sacri (Madonna in trono col Bambino;
figure di santi) e scene profane (due mostri alati con il collo
intrecciato; due arpie; bevitori; una scena di caccia con “uomini
selvatici”; una città assediata; personaggi in atteggiamento giocoso;
ecc.). Nella chiesa di Ognissanti a Ospedaletto, sono invece riaffiorati
tre strati sovrapposti di affreschi; alcuni lacerti del primo strato
(Crocifissione con Maddalena ai piedi della croce, 1394-1401 ca.) e due
scomparti del terzo (Cristo di fronte a Caifa e Nozze di Cana, ca. metà
del XV secolo), dopo essere stati staccati per il restauro, sono stati
ricollocati nella chiesa disposti su vetroresina; è stato invece
riposizionato sulle pareti laterali e su quelle di fondo lo strato
intermedio, predominante, probabilmente eseguito da un pittore
popolaresco dopo il 1401, anno in cui si decise di ampliare la chiesa
(episodi della vita di Cristo; figure non ben identificabili, forse
dalle storie di Sant’Orsola; santi, cardinali e vescovi; un Giudizio
universale con riscontri iconografici nella tradizione figurativa
d’Oltralpe).
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