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Presidente della Società Iconografica Trivigiana |
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Storie di donne in riva ai canali |
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I lavatoi dei canali cittadini, ora belle fioriere, rievocano incombenze domestiche di una volta, protagoniste le donne
nel loro triplice ruolo di figlie, mogli e madri. |
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Botteniga attraversa la città, e mostra, a chi vada a guardarlo
intorno alla Pescheria, un nuovo atto d’acque, una loro amicizia
con le case e con le strade degli uomini. Qui il margine della
strada, in quartieri popolosi e popolari, è caldo e cordiale,
e i tersi canali uguali gli si adeguano per meno che una riva,
neanche per un gradino, proprio, invece come se si accostassero
a una soglia. La città v’è pregna di tali vene, quasi serbando
lì più sensibile la parentela col terreno fecondo di linfe e
di sorgive, incerto fra due nature e fra la prevalenza della
terra e quella dell’acqua. E questa è come esitante in una pigrizia
dolce, ma viva, perché non si tratta di stagni o di palude ma
di polle viventi... ».
È Riccardo Bacchelli a scrivere dei canali di Treviso in un servizio
per il Corriere della Sera nell’incipiente primavera del 1935.
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Se poeti e
pittori hanno indugiato nella rappresentazione di questo rapporto tra
terra e acqua, a mediarlo fisicamente sono state per secoli, chissà mai
quanti, le lavandere, discrete custodi delle intimità domestiche,
infaticabili zelatrici di quel profumo di pulito che emanava dalle vesti
e dalle biancherie della camera e della tavola.
Dire bucato non era sola fatica fisica di braccia e di schiena, e Dio sa
quanto l’inventore della lavatrice meriterebbe un monumento. Prima che
l’elettricità imparasse a riscaldare l’acqua e a far girare il
cestello, quando l’acqua non giungeva alle case attraverso la corsa
nei tubi sotterranei, ma faticosamente portata nei secchi appesi al
bigòl e riempiti alla fontana in piazza, il rito della pulizia dei
tessuti poteva anche iniziare in casa con la lìssia a suon di
fuoco e di cenere,
(continua
→)
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