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Le cupole verdi del Duomo hanno il colore del solfato di rame che si dà alle viti, come se fossero state avvolte da un pergolato con grappoli d’uva promettenti dolcissimi vini per le messe. Acque, vino, cielo, quiete, dolcezza di stagioni impastano la carne dei giovani e delle ragazze che perpetuano, nel sorriso e nel parlare, un dialetto molle e musicale, le lontanissime dolcezze della Marca Gioiosa. Il portico dei Buranelli è il posto più suggestivo e poetico della città vecchia per l’armonia dei suoi spazi aperti a tutte le fantasie. Nel suo breve corso, il canale riassume tutta la cultura della civitas. Comincia con un basso ponte di pietra con a destra degli scalini degradanti sull’acqua, lavatoio d’altri tempi e assieme illusoria banchina per un impossibile imbarco.
Il Sile attraversa la città, sgorga nitido da fonti profonde, risorgive di ghiacciai e di lontane acque, di nevi filtrate attraverso grandi banchi sotterranei di ghiaie trascinate da antiche alluvioni del
Piave. Nel suo fluire il fiume incontra tracce di mondi e di culture scomparse, resti di palafitte, testimonianza di una fitta abitabilità, ossa umane, di cervo, di cinghiale, di cane delle palafitte ed enormi tronchi di rovere ultima traccia della mitica Selva Fetontea.
Carducci ricorda Carlo Goldoni che villeggiava sulle rive «dell’argenteo
Sile» e Comisso scriveva che «le anse placide del Sile, così verde nel suo defluire lento, sono coperte di fragili salici piangenti che si inchinano tremuli fino a carezzarne le acque».
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