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Piccole ma battagliere comunità rurali - da Montebelluna nel Trevigiano a S. Giorgio, delle Pertiche nel Padovano, a Lerino nel Vicentino, a S. Giorgio di Valpolicella nel Veronese, - sollecitarono vescovi e abati a concedere loro il permesso di innalzare castelli per avere un luogo meno insicuro dove abitare, tenere la propria chiesa, conservare le proprie ricchezze, organizzare l'opera di messa a coltura di vaste aree ancora boscose e ricoperte di paludi. Con una sorta di accordo bilaterale vantaggioso per entrambe le parti, si creavano cosi' i presupposti per un maggior benessere e una maggior sicurezza in tempi di violenze e di stenti. Anche se sfuggono i passaggi più lontani di questo processo, pure a Thiene fu sicuramente cosi'. Ce lo conferma chiaramente un patto siglato o, meglio, rinnovato nel 1166 con cui la sparuta schiera degli abitanti o vicini di Thiene, rappresentati dal loro arciprete e da un paio di soci, definiva reciproci diritti e doveri nei confronti del vescovo di Padova, che in queste zone era, com'è tuttora, capo spirituale, e, inoltre, ricco signore fondiario. Con un'intesa ragionevole e chiara si poneva finalmente fine a incertezze giuridiche e a fastidiose controversie che duravano da tempo. Il vescovo accettava di dare in concessione perpetua il castello e la cintura di siepi vive e di steccaie che lo proteggeva tutt'intorno (fratta) al gruppo solidale di famiglie che di fatto lo abitava. Queste, dal cando loro, erano tenute a pagare uno staio di frumento per ciascuno dei lotti edificati entro il suo perimetro. Inoltre si fissava un'elementare normativa volta a regolare la vita pubblica della comunita', stabilendo, per esempio, che le ammende pagate per eventuali furti o violenze commessi, andassero divise a meta' tra il vescovo e il comune. Un comune che proprio allora nasceva come roganismo di rappresentanza e disciplina della popolazione, grazie a questo singolare regime di compartecipazione alla gestione di un centro abitativo provvisto di difese. |
Insomma, nel castello, che tanta letteratura ci ha abituati a pensare come alla dimora del feudatario, al truce strumento dell'oppressione signorile, veniva trovando compattezza e identità un nucleo di uomini che, in realtà, patteggiava la propria autonomia con una superiore autorità feudale. Un castello fatto occasione di riscatto sociale. E anche di prosperità, perché da esso partivano e in esso refluivano risorse umane e materiali che investivano tutto un vasto bacino territoriale circostante. La pieve di Thiene, che aveva giurisdizione spirituale anche su Zanè, Centrale, Grurnolo, Bodo, Zugliano, era ubicata nel castello, all'interno del quale, ad esempio, nel 1208 combinavano i loro contratti anche le monache del monastero di S. Stefano di Padova, che avevano forti interessi agrari nei dintorni, tra Caltrano, Lugo e Calvene. |
Naturalmente non fu un cammino facile e lineare quello della giovane comunità thienese. Fin dagli inizi essa dovette rintuzzare gli appetiti di aggressivi casati nobiliari vicini, intenzionati a farsene un boccone, come i signori da Vivaro, o i conti di Vicenza, che nel 1221 sembra si fossero impadroniti del luogo. Nella tumultuosa età comunale la popolazione aderì probabilmente in massa, come gran parte della società vicentina, all'astro del famoso tiranno Ezzelino da Romano. E fu in conseguenza di ciò che nel 1259, quando a detta dei contemporanei era ormai un centro "grande e popoloso', Thiene pati' persino incendi e devastazioni. Ciò nonostante non si arrestò il suo sviluppo. Nella piccola e partecipata organizzazione collettiva di Thiene si lavorava, si governava il territorio, si dibattevano questioni di comune utilità. Ai redditi di una fiorente agricoltura si aggiunsero ben presto quelli di svariate attività manifatturiere (fin dal Duecento s'incontrano calzolai, fabbri, calderai, etc.). Al decollo dell'econornia contribuì non poco l'abbondanza di acque correnti e di rogge che si andarono sapientemente realizzando per irrigare i campi e installarvi mulini ed opifici idraulici. Tra il 1275 e il 1282, ad esempio, si svolsero delle laboriose trattative in seguito alle quali il comune di Thiene deliberò di concedere ad alcuni ricchi imprenditori vicentini la facoltà di far derivare un corso d'acqua artificiale dall'Astico attraverso il proprio comune fino al paese di Villaverla. L'assemblea o vicinanza, affollata da un'ottantina di capifamiglia e presieduta da due decani e da quattro consiglieri, che votò a favore, considerò bene che - come recita la delibera - il nuovo canale si rivelava di grande utilità per il comune e gli uomini di Thiene e di tutti i proprietari della zona. L'opera doveva indurre ricchezza, beninteso. Ma ci si cautelò affinché non ne fossero lesi i tradizionali privilegi dei Thienesi sul proprio spazio di vita, e in particolare su un residuo vasto polmone di bosco necessario per la legna, la caccia, il pascolo. Si tratta solo di un episodio. Ma in esso sembra fin da allora di poter intravvedere quello spirito imprenditoriale, quel senso concreto dei problemi del territorio, quella capacità di concertare programmi ed energie di sviluppo che sarebbero rimaste delle costanti di lungo periodo nella storia di questo ameno centro pedemontano. | |