Matteo Dal Santo |
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L' annunzio, sempre lo stesso eppur nuovo della Incarnazione, con gioia prorompe da festosa adunanza di popolo che duetta con la Nina. E' cosi' da immemorabile passato, da secoli, tanto che della sua origine nessuno porta memoria: nemmeno le consunte carte, cariche di tempo, fanno pur sfuggevole menzione. E ogni anno, a Thiene, gli ultimi tocchi dell'Avvento chiamano a raccolta uomini e donne per il canto che rinnova antica pratica e vecchio rito: quello della litania natalizia. Un tempo, anzi, la melodia si spandeva per le varie contrà, anzi nasceva dal cuore contadino, o meglio, era il colore ed il calore di un sentire religioso comune, sì che, in ogni slargo capace, risuonava la femminile voce della Nina (la più bella, educata e sonora del luogo), e le più robuste voci, quasi ad antifona, si univano - intrecciandosi - e si confondevano appresso la scala - un albero la reggeva - sulla quale la donna intonava la novena. Allora si iniziava da S. Andrea, quello di novembre, e si cantava un perduto racconto di Nostro Signore e di sua madre, la Vergine, con quel periodare un po' accidentato, con le rime piegate alla bisogna, con qualche verità teologica ardita, con qualche corruzione linguistica, con qualche popolaresco melodiare appreso dai più vecchi e a memoria, senza carta e senza fatica, messo. Ma era genuina commozione ed era freschezza di sentimento che scaturivano, ed era festa di popolo, attesa per un anno, come per un anno si attende la nuova Stella. Le brevi sere d'inverno, troppo avare per ristorare dalle fatiche della giornata, cadenzavano allora il ritmo della vita che non era solo di campagna ma anche di bottega e poi di officina e di mercato. Sì, perché a Thiene la novena natalizia assumeva un che di diverso rispetto a tante somiglianti itineranti cantate (Vicenza ed il suo territorio si distinguevano per quantità e varietà di riti) e proprio perché i suoi protagonisti, pur nelle mutevolezze del quotidiano vivere e nella intraprendenza sociale, conservavano un sentimento tutto proprio: quella thienesità che è tradizione e vincolo umano. Nelle dicembrine sere, dunque, si usava lasciare il tepore della stalla rispondendo al sollecito di un campanello, di una campana o di un semplice batter di mani ed al chiarore di un tenue canfin si costumava ritrovarsi attorno alla Nina e con lei sciogliere la litania. Erano, quelli, tempi che forse ancora non conoscevano la frenesia di oggi, tempi nei quali i legami sociali erano più stretti e la contrà, o la corte medesima si riconosceva nella propria Nina e nel proprio coro. I tempi, però, cambiarono ed anche i vecchi nomi delle contrà vennero mutati per narrare nazionali e più recenti storie e sorte diversa ebbe pure la Nina che, anche se mescolava verità a cedimenti apocrifi, nel suo usato cantilenare rappresentava l'autentica anima del Belvigo, della Fratta, del Malcanton, della Conca, del Rovere... quando Thiene si riconosceva ancora nei suoi antichi borghi e non sono poi trascorsi tanti anni. Ma qualcosa di evidentemente esagerato doveva esserci nelle strofe, se qualcuno volle mettervi mano rimediando a tanti errori, emendando tante storpiature e lo fece da vero dotto che di cose di chiesa si intendeva e aveva studiato la Scrittura e l'Evangelo ed era prete a servizio della chiesa di Thiene. Condusse, egli, la lezione entro una eleganza del verso, una sorvegliatezza della lingua e della tradizione dei sacri testi, sì che poi occorreva il foglio in mano per cantare perché le nuove parole non erano più le consuete. Si era negli anni venti e già il rito si andava riducendo a quindici, poi ad otto e infine, a tre serate. Oggidì la Nina, ritrovato il vecchio fervore, ha ripreso il suo annuncio e chiama ancora il popolo ad unirsi al suo canto nelle tre sere che precedono la nascita di Nostro Signore, anche se la contrà ha perduto il suo colore e le corti risuonano di altri rumori. Si cantano, dunque, le 23 strofe che fanno memoria della salvezza portata all'uorno peccatore e ingrato per il quale Dio s'è fatto uomo, che dicono della nascita del Bambino nella grotta e del gloria degli Angeli. Alla vigilia, anzi prima della messa di mezzanotte, i diversi cori si uniscono nella piazza e lì intonano una Nina che, per il grande concorso di gente e per essere essa l'espressione dell'intera comunità, prende il nome di gigante. Viene guidata dall'alterna voce delle giovani Nine che perpetuano una preghiera e una narrazione che, malgrado tutto, Ravvicina ancora persone e raffresca sentimenti genuini e spontanei. Sembra spettacolo, fittizia rappresentazione religiosa, ma a Thiene si riesce a fuggire l'esteriorità, pur cedendo (ma è veniale menda) alla emozione e alla suggestione scenografica. E' anche per questo che si attende ancora il Natale e si canta la Nina, per far memoria del Verbo Incarnato e non di meno per rinsaldare una umanità che caparbiamente rinnova la lieta attesa della luce del cielo: La pace apporti la stella pia, Nina, la buona sera e vado via.. | |||