IL LUOGO DI TUTTI I TEMPI |
La
piazza, da sempre luogo di incontro, ma riservato ai nobili fino all'avvento
della borgesia, è ora patrimonio di tutti, specie dei più
giovani, che la frequentano con ostentata disinvoltura.
|
i
piazza, come di mamma, ce nè una sola. Almeno a Venezia,
che ci è madre. Nella città Serenissima gli altri slarghi
si chiamano campi, o corti, e cè perfino un piazzale, dove
sostano le auto in arrivo "dalla campagna", che è tutto
quanto si stende al di là del ponte lagunare, in Terraferma.
Ma la nobiltà del termine piazza, in Venezia spetta solo a quella
dedicata al santo che garrisce sul vessillo municipale, un tempo bandiera
dun impero. Piazza San Marco è stata il modello cui si
sono ispirate tante città e cittadine della venerata Repubblica,
nei Domini da Mar e da Tera: dalle isole greche alla Dalmazia, dallIstria
alla Patria del Friuli, fino alle Lombardie Venete. La piazza come luogo
delle cerimonie solenni, delle processioni, delle adunate di popolo.
La piazza al cuore dellidentità sociale e culturale, dove
salzano i palazzi del potere e la basilica veneranda. Uno spazio
dedicato allaccumulazione di memoria, dove si compie tutto ciò
che è destinato a imprimersi nel ricordo della comunità
di destino: riti civili e religiosi, feste di tradizione, punizioni
esemplari. In moltissimi paesi e cittadine delle Venezie la piazza ricalca
lo stesso ruolo. Ma in altre città, orgogliose duna antica
indipendenza, come a Verona, a Vicenza, a Padova, a Treviso, poteri
e ruoli si dividono. Qui la piazza dei Signori, là la piazza
del Duomo o quella delle Erbe, per la mercatura. Non che nei paesi dove
su quellunico spazio si affaccia la chiesa matrice, ledificio
comunale, i ritrovi più eleganti e prestigiosi, vengano a cadere
le gerarchie. Anzi. Per secoli, quellunica piazza è stata
aperta solo alle frequentazioni dei ceti agiati, restandone escluse
le classi umili. In particolare i "villani", gli abitanti
delle campagne, che se proprio dovevano attraversare la piazza dovevano
farlo alla svelta, tenendosi ai margini e girando al largo dai crocchi
dei potenti. Il disprezzo verso i contadini è durato a lungo.
Mi porto dietro dallinfanzia il ricordo dun modo di dire
che palesa con durezza questo pregiudizio. Si tratta di una sorta di
domanda a risposta fissa. "Sei stato in piazza? Cera tanta
gente?", domanda uno, e linterrogato risponde: "Sì.
Poca gente e tanti contadini". Un atteggiamento che solo la profonda
trasformazione del vivere collettivo, intorno a trentanni fa,
ha fatto abbandonare. Anche perché quella gente, costretta a
tenersi accosto ai muri, in atteggiamento dimesso, veniva dimostrando
tutto il suo valore con lindustrializzazione diffusa. Quante migliaia
di "villani", cioè di ex mezzadri, ex fittavoli, ex
piccoli coltivatori diretti, potevano ora dire "una parola in piazza",
essendo divenuti imprenditori, coraggiosi innovatori duna economia
industriale che ha distribuito lavoro e redditi fin nel cuore delle
campagne venete. Unemancipazione pagata a caro prezzo, con costi
umani altissimi, a partire dalla Grande Guerra, "vera vendemmia
di contadini", come non senza qualche compiacimento annotava malignamente
un signorotto nostrano. In quegli anni le piazze dei paesi si ornarono
di nuovi monumenti, dove Vittorie alate o fanti di bronzo vegliavano
sulle lapidi con lunghi elenchi di Caduti. Vita e morte si alternano
nelle piazze: i funerali e il mercato settimanale, i cortei di nozze
e i comizi elettorali. Ricostruendo lagenda degli appuntamenti
collettivi in questi luoghi ne uscirebbe unesauriente rappresentazione
della storia locale. |
A lungo, per esempio,
la piazza è stata un luogo dominato dai maschi. Erano i tempi
in cui la donna ideale si dipingeva con questi tratti: "che a
piasa, che a tasa, che a staga casa". Al massimo, se
si trattava duna coppia borghese, poteva comparire al braccio
del marito per andare alla messa. Non certo se si trattava duna
popolana o duna ragazza da marito. Ce ne fanno memoria i versi
duna vecchia canzone tradizionale: "La domenica andando alla
messa /compagnata dai miei amatori / mi sorpresero i miei genitori /
monacella mi fecero andar... ahi sì sì, ahi no no! / Monachella
mi
|