Forgaria nel Friuli

L'ALTIPIANO DI MONTE PRAT

 

Un vasto territorio che "guarda" le colline,
originale nel paesaggio carsico e nel modello insediativo che si propone
per un moderno turismo-residenziale.

 
     
 

asciata alle spalle l’antica e suggestiva chiesetta di San Rocco, nei pressi dell’omonimo abitato, inizia una lunga serie di tornanti che portano al cuore di Monte Prat. Vasto altipiano carsico, collocato tra i 600 e i 900 metri di quota, adagiato ai piedi dell’incombente Cuar (Monte Corno) e aperto verso le sottostanti colline moreniche.
Il territorio, che si estende per oltre mille ettari, è stato oggetto per oltre un secolo, tra la metà dell’800 e la metà del ’900, di un intenso sviluppo agrozootecnico, che ha visto l’incessante lavoro di alcune generazioni forgaresi modellare l’ambiente e realizzare un originale insediamento sparso, ancora oggi riconoscibile e ricco di fascino.
Si stimano essere state oltre tremila le persone presenti nell’area dell’altipiano, quali “abitanti temporanei” che alpeggiavano, da marzo a novembre, nel periodo di maggiore espansione dell’attività agricola di sussistenza. Gli abitanti interessati provenivano dalle frazioni in valle: Forgaria, Cornino e San Rocco, oltre che da Peonis posta nel vicino comune di Trasaghis, i cui residenti percorrevano un sentiero scavato nella roccia o risalivano l’angusta Val Chianet.
Il progressivo abbandono dell’agricoltura povera di montagna, a partire dall’ultimo dopoguerra, il forte processo di industrializzazione che ha investito il Friuli negli anni ’60 e ’70 e il colpo “finale” del terremoto del 1976, fissano i periodi dell’abbandono anche di questo territorio e la sopravvivenza economica di pochissime aziende agricole, due sole delle quali oggi con un rapporto stanziale.
Compresi i borghi e gli stavoli sparsi, presenti sul versante del Monte Pedroc e gravitanti sull’altipiano, sono oltre 350 gli edifici in pietra costruiti dissodando e spietrando i vicini terreni, utilizzati per lo sfalcio e ancora oggi presenti nell’area, in parte ricostruiti, altri rimaneggiati, altri ancora ridotti alle condizioni di poveri e ormai invisibili ruderi.
L’avviato processo di recupero edilizio è stato voluto e perseguito tramite un apposito “Piano di Conservazione e Sviluppo” che ha evitato di penalizzare ulteriormente gli operatori agricoli e i proprietari originari degli edifici, consentendo una generalizzata modificazione d’uso degli immobili anche ai fini turistico-residenziali.
Il tradizionale “stavolo” che coniugava le attività produttive primarie (stalla-fienile-magazzino) con le necessità abitative è stato posto al centro dell’interesse storico-ambientale ed economico dell’area. L’originaria omogeneità funzionale degli edifici ha consentito una altrettanto omogenea unità formale con pochissime varianti rispetto allo standard costruttivo accettato. Due piani fuori terra su pianta rettangolare con doppia falda contrapposta e copertura in coppi, muri portanti possenti con angolari in pietre squadrate, varie aperture di grandezza variabile, poste in prevalenza sulla facciata rivolta a sud, in stretto rapporto con la funzione degli spazi interni e con la morfologia del terreno, sono le caratteristiche costruttive dominanti.
Gli edifici, isolati o raggruppati in piccoli nuclei, si collocano sia in piano che su terreni anche molto acclivi e rappresentano uno degli elementi del “paesaggio” consolidato: rappresentato in passato da una estesa e uniforme superficie prativa sottratta con fatica al bosco. Oggi al contrario lo spazio è dominato dalla vegetazione arborea, salvo la più accessibile e frequentata zona centrale.
Lo spettacolo di uniformità paesaggistica doveva raggiungere livelli davvero notevoli in passato, agli stavoli, disseminati su tutto l’altipiano, si sommavano i numerosi sentieri contornati da muretti a secco, che dalle borgate in valle raggiungevano Monte Prat e qui si ramificavano collegando ogni singolo edificio e prato sfalciabile, formando di fatto un grande variegato mosaico, dove alle varie tonalità del verde si alternavano il bianco e il grigio della pietra.
La “scenografia” veniva arricchita da minuscoli orticelli e singole piante da frutto: noce, castagno, melo e ciliegio le più comuni, poste in prossimità delle abitazioni, anche con funzioni ornamentali. Nelle vallecole o in zone ritenute più strategiche grandi “pozze” artificiali, servivano per l’abbeveraggio dell’abbondante bestiame.
Con la chiusura delle due latterie, costruite negli anni ’30 dagli abitanti di San Rocco e Forgaria, oggi trasformate in centri-servizio per l’attività turistica, si può prendere atto dell’avvenuta radicale trasformazione sociale; dove il motore economico non è più alimentato dall’agricoltura e, più recentemente dall’escursionismo ricreativo e sportivo, ma dal turismo con fini di scoperta e relax.
Dal primo e fallimentare tentativo di costruzione sull’altipiano di un grande albergo-residence, idea geniale partita a metà degli anni ’60 (anche se architettonicamente e paesaggisticamente inadeguata), proposta dal signor Collino, impresario edile forgarese fortunosamente trapiantato in Piemonte.

 

Parte dell'altipiano: località Agar

Val della Borgna a nord dell'altipiano

Edificio rurale

Iniziativa forse troppo ardita e in anticipo rispetto alle condizioni generali dello sviluppo locale, dominato da un ambiente sociale ancora del tutto impreparato ad accogliere le novità della modernità. Si è dovuti passare attraverso un lungo periodo di transizione prima di vedere concretizzate alcune iniziative di sviluppo turistico compatibile con le risorse di questo territorio.
Un lungo periodo durato almeno venticinque anni e che ha visto succedersi diverse fasi: da quella immediatamente successiva al terremoto, alla fase della pianificazione di scala territoriale e comunale per poi aprire la fase della pianificazione ambientale mirata e coincidente con la stesura del Parco Comprensoriale dell’Altipiano, la cui approvazione e successiva gestione ha consentito la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’assetto paesaggistico e storico-ambientale dell’area, attivando gli interventi di recupero edilizio di oltre un centinaio di vecchi stavoli.
Con la realizzazione del progetto dell’Albergo Diffuso “Monte Prat”, caratterizzato dalla gestione unitaria di una ventina di edifici tradizionali, sobriamente e omogeneamente recuperati e arredati, con in dotazione una novantina di posti letto con l’apertura della rinnovata “Casa per ferie San Lorenzo”, con altri 54 posti letto, si sono poste le basi per uno sviluppo sostenibile ed economicamente significativo dell’intero Comune che con 230 posti letto complessivi si pone in una posizione d’avanguardia per tutto il territorio pedemontano e collinare.
Oltre allo sguardo sconsolato della pur energica ma solitaria Biagina, Monte Prat può ora contare sull’accogliente sorriso e la professionalità di Elena e Isabella, instancabili operatrici dell’Ufficio Turistico Locale.