San Vito di Fagagna

POZZI, CANALI E MULINI

 
Alla scoperta di un itinerario sull'utilizzo del bene acqua
quanto mai prezioso per gli uomini di ogni tempo.
 
     
 

a tavièle (campagna, pianura) che si estende subito al di sotto delle colline moreniche è stata da sempre arida e siccitosa sia per carenza di acque superficiali che per mancanza di risorgive.
I corsi d’acqua impetuosi che si staccavano dal fronte del ghiacciaio tilaventino impedivano, di fatto, il depositarsi di terreno agrario e lasciavano attorno solo sassi e ghiaia permeabilissima.
Per gli abitanti di questo territorio, perciò, l’approvvigionamento idrico è sempre stato un pressante problema dovendosi essi spostare a piedi o con carri per abbeverare il bestiame o per attingere acqua da bere nel lontano Tagliamento o, stagione permettendo, nel più vicino torrente Corno.
Anche l’abilità edilizia e costruttiva dei sanvitesi fu a lungo sollecitata affinché risolvesse il problema che era causa, fra l’altro, di pressanti preoccupazioni sanitarie. Fu dopo il rovinoso colera del 1855 che finalmente venne affidato l’incarico di costruire un pozzo, perforando il terreno nelle vicinanze della chiesa in Piazza San Vito.
Vera e propria opera d’arte, inaugurato nel 1867, il pozzo raggiunge una falda acquifera potabile a quasi 100 m di profondità. Con abilità costruttiva e perizia tecnica si riuscì a rinsaldare, senza cemento, le ali laterali di ghiaia e sassi. Attraverso un varco scendevano, uncinati ad una fune, ben tre secchi capienti per attingere l’acqua.
Il pozzo fa ancor oggi mostra di sé avendo resistito al tempo e alle sollecitazioni telluriche e sotterranee delle falde acquifere. Attualmente è sotto controllo del Magistrato alle Acque e dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente che annualmente analizza le condizioni fisico-chimiche dell’acqua e la sua potabilità.
Anche nelle frazioni di Silvella e Ruscletto si possono tutt’ora ammirare due pozzi, profondi 90 m circa, che assolvevano al compito di fornire acqua potabile alle due borgate di allora: uno ubicato nei pressi del Palaç (Villa Micoli, 1675) a Silvella, mentre quello di Ruscletto è situato davanti ad una costruzione con parte della facciata in stile veneziano “La Cjase dal Riç”, che protende orgogliosa una targa, datata 1875 con al di sopra una figura sagomata in terracotta raffigurante il muso del leone di San Marco.
Delle tre tettoie sorrette da quattro colonne e utili per ripararsi dalla pioggia rimane ora solo un tiglio centenario che un tempo, soprattutto a Ruscletto, faceva la gioia dei bambini che vi si arrampicavano, attendendo la mamma o la nonna che aspettavano in fila il loro turno per attingere l’acqua piovana che si raccoglieva tra le ondulazioni del terreno, in apposite pozze (sfuéis). Ben cinque se ne contavano a San Vito di Fagagna e l’ultima di queste è andata all’asciutto, molto tempo dopo che l’approvvigionamento idrico avvenisse attraverso l’acquedotto. Esse venivano utilizzate principalmente per abbeverare gli animali ma anche per risciacquare i panni o per attingere acqua “là dov’era pulita”.
Se la penuria d’acqua aveva costretto l’economia del Sanvitese a mantenersi ai limiti della sopravvivenza, un repentino risveglio della laboriosità locale sopravvenne subito dopo il passaggio sul territorio del Canale Ledra-Tagliamento (1881).
Ruiç di derivazione, canalizzazioni per l’irrigazione dei campi e per l’uso di forza motrice furono subito apprestati e messi in opera e si progettarono e realizzarono acquedotti a scorrimento con vasche di filtraggio dell’acqua del canale e pompe azionate a mano, per far risalire l’acqua da tubazioni sotterranee con messa in funzione di fontane pubbliche e private: un lavorio da formicaio che portò l’economia del Sanvitese a competere in poco tempo con quella dei comuni limitrofi.
Tre furono i mulini che vennero costruiti a lato di “Une Roe-le picjule Ledre” che si staccava come braccio di derivazione dal canale principale. Ognuno lavorava con ben quattro mole, di cui una attrezzata per la trasformazione di energia idrica in energia elettrica. In uno di questi, Là da Farie, l’energia dell’acqua veniva trasformata in energia meccanica con maglio laminatoio e con produzione di arnesi da carpenteria, utensili e altri attrezzi: un vero artigianato a “ciclo completo” che ha percorso l’attuale filosofia di produzione artigianale indirizzata verso lavorazioni integrate tra beni e servizi.
Un quarto mulino venne costruito a Silvella e il suo funzionamento fu assicurato da un complesso molitorio elettrico tra i più moderni di quel tempo, tanto che è tutt’ora in parte funzionante e allocato in un’azienda agricola a produzione integrata.
Di tutta questa intraprendenza rurale ed artigiana oggi resta ben poca cosa. Ciò che rimane comunque, è sufficiente per far rivivere, se intelligentemente utilizzato e valorizzato a scopo anche turistico-rurale, quella laboriosità di un tempo che ha saputo, forse inconsciamente, coniugare il valore culturale con le esigenze di sopravvivenza economica e sociale.
I tre pozzi, nei tre paesi (San Vito di Fagagna, Silvella e Ruscletto) sono visitabili accompagnati da una guida messa a disposizione dalla Comunità Collinare in collaborazione con la Biblioteca Comunale, recentemente allestita a San Vito: la guida è stata preparata per far rivivere e scoprire la storia e il valore di riproposta culturale e di aggregazione sociale delle strutture e pertinenze rurali locali.

 

Chiesa parrocchiale di S. Vito con in primo piano il vecchio pozzo

L'antico pozzo nell'abitato di Silvella

Il portale d'entrata di villa Micoli a Silvella

Il mulino Sclabi, lungo la strada provinciale Udine-Spilimbergo, nei pressi del vecchio municipio, ti accoglie ancor oggi nella sua struttura a corte con entrata rustica tradizionale: un ampio porton in legno, di forma rettangolare, è inserito ai due lati di un caseggiato rurale. Era utilizzato come sosta-ripostiglio di attrezzi, mezzi agricoli e come essicatoio per il fieno. Il macchinario, piccolo gioiello di artigianato meccanico, con ancora una delle quattro antiche mole, tuttora funzionante con possibilità di macinare granoturco ed altre granaglie, principalmente per uso del mugnaio ma anche, se cortesemente richiesto, per l’agricoltore locale che intende macinare la propria produzione di mais per uso familiare.
Quella che viene qui presentata è una proposta di riscoperta dell’utilizzo del bene acqua nel Sanvitese, che vede impegnata l’Amministrazione Comunale in uno sforzo di rivitalizzazione delle potenzialità agro-turistiche e rurali del territorio.