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Ad un qualsiasi viaggiatore Portogruaro si mostra immediatamente nel
suo impianto architettonico medioevale, caratterizzato da piacevoli
costruzioni, con file parallele di portici, sotto i quali eleganti negozi
si sono sostituiti, nel corso dei secoli, alle botteghe artigiane. Ma
la città solo in apparenza sembra darsi nel modo più completo
e totale. Ciò che noi vediamo è l’anima, per così
dire, terrestre, quella rivolta alla terraferma, alla campagna circostante,
alle altre floride cittadine che occupano i territori verso il Friuli.
Ma tra quelle due eleganti vie, ne scorre un’altra seminascosta:
è l’anima fluviale, quella che guarda al mare Adriatico,
ai grandi spazi d’oriente. Un’anima questa che ha assecondato,
per tutta la storia meno recente, la propensione al commercio, alle
attività di scambio con il Norico, da cui proveniva, dal 1429
in esclusiva per la Serenissima, il ferro, e con Venezia, da dove arrivavano
le spezie orientali.
Il fiume Lemene, per secoli, è stato il cuore della città
fin dalla fondazione, nel 1140, tanto che le case padronali si estendevano
con barchesse e magazzini fino alle rive. Nei magazzini e nei granai
venivano depositate le merci e poi trasportate nei mercati del nord,
per mezzo di grandi carri. Le attività economiche fiorirono tanto
da richiedere la costruzione dei Fondaci, ovvero “una dogana per
la conservazione e custodia delle mercanzie”; il primo fu il fondaco
del sale, costruito nel 1200, immediatamente fuori Porta San Giovanni.
I cereali, coltivati nelle zone immediatamente fuori della città,
erano invece portati, con grandi barche, nei due particolari molini
duecenteschi di proprietà del vescovo di Concordia, per essere
macinati. Non vi erano solamente i due molini, ora sede della Galleria
Comunale d’Arte Contemporanea di Sant’Andrea, un altro era
immediatamente dopo la porta di San Giovanni, nella fossa dell’omonimo
borgo. Quest’anima fluviale, che il garibaldino di Fratta ricorda
con “puzzo d’acqua salsa, bestemmiar di paroni, e continuo
rimescolarsi di burchi, d’ancore e gomene”, ha certamente
dato la possibilità a molte delle famiglie portogruaresi di accumulare
ricchezza e di ostentarla in quella piacevole architettura di veneziana
memoria. E allora i palazzi, le facciate, i portici andarono a caratterizzare
esteticamente la seconda anima della città. I grandi portoni
delle case signorili davano sulle due strade parallele al fiume. Gli
androni, i cortili interni facevano da tramite alle barchesse sul fiume.
Chi ora percorre queste strade ha immediatamente sentore della storia
socialeportogruarese, che si è espressa nell’attuale disposizione
urbanistica. Molte case di un certo valore storico furono abbattute
per lasciare posto al nuovo, delineando così una traccia necessaria
al nostro viaggiatore per comprendere l’evoluzione artistica e
architettonica della città. Gusti, necessità urbanistiche,
si
sono sormontati e ora si confondono, si perdono nelle quinte delle strade;
effetti a dir il vero non sempre piacevoli a causa di stili contrastanti,
ma comunque segno del passaggio della storia, del divenire e dell’adeguarsi
di una città alla vita dei suoi cittadini. E proprio su queste
facciate si trovano gli indizi di una storia tutta Portogruarese, tanto
che il nostro viaggiatore sarà certamente attratto dalla bellezza
e dalla monumentalità dei palazzi, dalle loro decorazioni gotico-veneziane,
che da sempre caratterizzano la città del Lemene. E, a seguir
il richiamo della bellezza, spesso l’immaginazione si lascia andare;
immediatamente le deduzioni si trasformano in immagini. Già le
tre torri, quelle rimaste delle cinque o sei porte di accesso alla città
offrono uno spunto immaginativo notevole. Erano in realtà delle
torri a balaustra, aperte nella parte che dava verso il centro, unite
tra loro dalle mura con a ridosso delle piccole case, affinché
i cittadini fossero sempre pronti a difendere la città. Una volta
entrati sotto quegli archi, lentamente si scoprono le bellezze architettoniche:
leoni marciani sparsi un po’ dappertutto, diverse patere medioevali
ancora incassate sui muri accanto a capitelli corinzi o dorici, a bassorilievi
in pietra d’Istria, in marmo o in terracotta. Stemmi della città
e stemmi nobiliari scolpiti sui ponti, sulle case, sul palazzo municipale,
sulla vera da pozzo del Pilacorte, sulle facciate dei molini, danno
testimonianza delle famiglie patrizie che hanno amministrato la città.
Pezzi della Concordia romana, armi gentilizie dei podestà, pitture
murali di scuola veneziana, architetture rinascimentali ricostruiscono
il senso della storia. Come non apprezzare le decorazioni geometriche
dei palazzi Moro, Longo, entrambi recentemente restaurati e Zovatto;
come non fermarsi ad interpretare le citazioni mitologiche degli affreschi
dell’Amalteo e della sua scuola sulle facciate delle case Marzotto
e Pasqualis o all’interno della chiesetta di San Luigi; come non
spendere un po’ di tempo per penetrare nella simbologia dei bassorilievi
e altorilievi in cotto di Palazzo Dal Moro, oppure ancora fermarsi adaccarezzare
la storia delle colonne romane dagli eleganti capitelli corinzi di Palazzo
Muschietti, o a soffermarsi sull’effetto ottico creato dal colonnato
del collegio Marconi. O
ancora sbirciare gli affreschi che, con figure mitologiche, geometriche,
o grottesche, decorano gli androni. Ma chi vuole può ancora ammirare
la leggerezza delle finestre dei Palazzi Impallomenni e dal Moro, o
di quello De Göetzen, o ancora le trilobate di palazzo Degani,
Muschietti e Moro.
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Affascinante
appare scoprire come il Bergamasco, per volontà della famiglia
Squarra, abbia disegnato la Villa Comunale senza angoli retti ma
ottusi o acuti, in netto contrasto con la loggia superiore, dai
leggeri archi a tutto sesto, tipicamente rinascimentali. E qui si
può entrare per visitare un piccolo, ma ricco, museo paleontologico.
O individuare, di fronte la piazza principale, l’esistenza
di un Monte di pietà, la cui costruzione, nel 1666, ha chiuso
una lunga controversia con la comunità ebraica, grazie ad
un altorilievo raffigurante una Madonna con bambino. Mentre “su
e giù per la podesteria e per la piazza toghe nere d’avocati,
lunghe code di nodari, e riveritissime zimarre di patrizi”
in bella mostra davanti al palazzo comunale dai merli ghibellini,
stanno lì a testimoniare la scelta veneziana, per non sottostare
alla dominazione vescovile di Concordia. La curiosità si
apre anche ai personaggi che hanno dato lustro alla cittadina del
Lemene. E quando si passa davanti al palazzo Altan-Venanzio, una
targa ci ricorda dove nacque il futurista Luigi Russolo, o ancora
si ci può raffigurare come il Nievo osservasse, dalle finestre
di palazzo Fratto, dove spesso era ospite, il passaggio dei portogruaresi.
O scrutare le finestre del Collegio Marconi, da dove si liberavano
nell’aria le rime di Lorenzo da Ponte, librettista di Mozart;
o andare infine indietro nel tempo per immaginare dove pregasse
il patriarca Panciera e vagheggiarsi dove Giulio Camillo del Minio
avesse imparato quell’arte di vivere alla corte di Francesco
I di Francia o in quell’Escorial voluto da Filippo II di Spagna,
dove viene ancora conservato il manoscritto del suo Teatro della
memoria. |
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