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Gorizia
è la mia città, dove sono nato e cresciuto e dove sono
vissuti mio padre, mio nonno equanti li hanno preceduti. Le nostre donne,
invece, sono pervenute in città dal contado goriziano, sia friulano,
sia sloveno, con l’eccezione, forse, di mia moglie che vanta sì
natali siciliani, ma che di madre è sempre slovena. Questa è
la tipologia dell’abitante di Gorizia, in lingua sclavonica Gorica,
modificata in parte dagli avvenimenti bellici che si sono succeduti
nel trascorso secolo Ventesimo nella città e nei suoi dintorni
con l’arrivo di profughi, di esuli e di varie emigrazioni di popolazioni,
non ultime quelle extraeuropee di cui si occupano oggi stampa e mezzi
di comunicazione.
La città è apparsa nella storia appena mille anni orsono,
sviluppo di un “Castrum Silicanum” che chiudeva l’accesso
alla valle dell’Isonzo, ed ha vissuto per cinque secoli con indipendenza,
appannaggio concesso ad una casata tedesca che aveva ottenuto il suo
latifondo dagli imperatori del Sacro Romano Impero, qui saldamente rappresentati
dai patriarchi della Chiesa di Aquileia. Degli antichi conti resta,
sopra un colle, l’imponente castello divenuto il simbolo cittadino.
Da qui, dal maniero che lo domina con grande potenza evocativa, possiamo
asserire che l’abitato è disceso al piano, prima in piazza
del Mercato, ora piazza del Duomo o P.Cavour, un mercato di scambio
tra le popolazioni della pianura, friulane, e quella delle valli montane,
slovene. Sul versante occidentale della collina, la strada da sempre
denominata via Cocevia rimembra le prime remote abitazioni dei contadini
del conte sovrano, chiamate in sloveno Kocia, da cui Cocevia. Il conte
Giovanni nel 1455 aveva anche esteso a codesto insediamento il privilegio
di città, prima riservato solo all’abitato del Castello,
ossia al suo borgo. Si
svilupparono nel contempo, e forse anche prima sotto le sue mura alcune
case, strade e piazze: l’anzidetta piazza del Mercato, la piazza
di San Francesco detta poi dello Schönhaus, oggi Sant’Antonio,
nella quale fu poi edificato il più antico convento, da parte
dei frati Minori Conventuali, chiuso nel 1784, come altri, per ordine
di Giuseppe II d’Asburgo il riformatore. La più importante
delle strade antiche rimane la via del Rastello, cioè del portone,
diventata poi la via delle botteghe, che animava il commercio cittadino
e che porta ancor oggi dalla piazza del Duomo alla piazza della Vittoria,
luogo acquistato dal Magistrato della città nel 1600 e prima
di allora chiamato semplicemente Prato, com’era veramente sistemato
in origine, poi diventato piazza Grande. La piazza è stata e
sarà ancora nel futuro il centro cittadino, posto eccellente
di riunione e di parcheggio, funzione che tra breve verrà abolita
ed il suo lastricato ed il suo arredamento ristrutturati, migliorati
e, con speranza, abbelliti. Lascio per un momento la piazza della Vittoria
per ritornare sul Castello, che rimane pur sempre il più importante
monumento cittadino. Nato tra il mille ed il milleduecento, esso, nel
tempo trascorso fino ad oggi, è stato adibito ad abitazione dei
conti, a sede degli organi amministrativi provinciali, quindi trasformato
in fortezza, in stabilimento carcerario, in caserma, in museo. Si può
giustamente definire l’embrione da cui Gorizia ha preso vita e
storia e, naturalmente, ha subito nel tempo rifacimenti, modifiche e
vere e proprie ricostruzioni, come è avvenuto negli anni del
primo dopoguerra a seguito delle distruzioni dovute ai massicci bombardamenti
subiti durante la prima guerra mondiale.
La ricostruzione, curata dal Genio civile su progetto del mai tanto
lodato Ranieri Mario Cossar, fu portata a termine negli anni trenta
dello scorso secolo e inaugurata nell’ottobre del 1937. Pure la
città fu ristrutturata e divenne più linda e, per i suoi
giardini, più verde, tanto da riguadagnare, anche per le proprie
atmosfere, il vecchio soprannome di “Città giardino”.
Rimanendo ancora nel borgo del Castello, restano da citare la quattrocentesca
chiesetta di S.Spirito fondata dalla famiglia toscana dei Rabatta, anch’essa
restaurata e la cinquecentesca casa Dornberg e Tasso sede dei Musei
Provinciali di Storia e Arte. Si disse ai tempi della mia giovinezza
che la chiesetta fosse stata edificata per la carenza di edifici religiosi
a Gorizia, città ecclesiasticamente dipendente dalla chiesa madre
di Salcano, oggi Solkan in Slovenia, informazione non certo esatta per
la sicura presenza nella città bassa di varie cappelle dedicate
a san Acazio e a santa Caterina.
Scendendo dal Castello incontriamo subito il duomo, cattedrale dell’arcivescovado
di Gorizia, fondato nel 1751, nel tempo in cui fu soppresso il Patriarcato
di Aquileia e le sue membra divise tra Gorizia ed Udine. L’interno
della chiesa, ricostruita nel primo dopoguerra, conserva il cenotafio
di Leonardo, ultimo conte della casata goriziana. Il Settecento, secolo
di Maria Teresa, lasciò tracce importanti per la città
e per la regione. In quel tempo fu importato il gelso e fiorì
il commercio della seta; la contea di Gorizia subì il distacco
della cittadina di Gradisca, eretta in contea autonoma. Fu venduta agli
Eggenberg che, estintisi una settantina di anni dopo, determinarono
la reincorporazione al vecchio territorio e la nascita della nuova Contea
di Gorizia e Gradisca.
Fu completata, in questo secolo, in piazza della Vittoria la chiesa
di S.Ignazio, la più maestosa e più importante della città,
con affreschi e una facciata in stile barocco austriaco. Da questa piazza
si diparte poi l’attuale via Carducci, già via dei Signori,
strada che porta alla piazza de Amicis, già piazza Corno, fiumiciattolo
che proviene dalla vicina Slovenia e che è stato, per le cattive
esalazioni, coperto nel secolo scorso. Nella piazza è stato edificato,
sempre nel Settecento, dalla famiglia Attems Petzenstein l’omonimo
palazzo, oggi di proprietà dell’Amministrazione provinciale
e sede di mostre artistiche e di manifestazioni varie. Sul retro del
suo giardino sorge il Ghetto, cui si accede dal Largo Pacassi e da cui
si esce sul principale corso cittadino. La colonia degli ebrei che vi
abitava si era stabilita a Gorizia attorno il 1500 ed alla fine del
1600 era stata costretta a trasferirsi in questa strada oggi intitolata
a Graziadio Isaia Ascoli, uno dei tanti personaggi famosi usciti dal
Ghetto che hanno onorato con la loro opera la città. Una bella
Sinagoga ne ricorda la presenza, annullata dalle tragiche vicende belliche.
Uscendo dal quartiere ebraico si presenta un crocevia che porta a destra
alla Piazzutta, piazza Nicolo Tommaseo, alter ego della Piazza Grande,
dove sorge la chiesa dedicata a S.Vito e Modesto centro del piccolo
borgo in cui, nel 1655, si erano stabiliti i “Fatebenefratelli”
ordine religioso che fondò un piccolo ospedaletto, trasferito
poi in via Diaz nel palazzo Alvarez, dal nome di un benefattore giunto
a Gorizia dalla Spagna, oggi sede dell’Università di Udine.
Resta ancora da citare il palazzo Coronini già sede del giurisdicente
del borgo,
sito nei pressi della via omonima e della via Don Bosco che dalla Piazzutta
porta al Ponte del Torrione, unica via d’accesso alla città
fino al tardo Ottocento.
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Il Palazzo Coronini, circondato da un vastissimo parco la cui entrata
principale è oggi situata in viale XX Settembre, è
sede di un’importante fondazione culturale e di un museo voluto
da Guglielmo, ultimo dei Coronini-Cronberg scomparso alla fine del
secolo
scorso. Dal crocicchio citato prima e dirigendosi verso sud, si
percorrono le principali e fin qui più importanti strade
goriziane, cioè i Corsi: Il Verdi, già via del Giardino
ed il Corso Italia il cui nome rappresenta, in sintesi, tutta la
tormentata storia goriziana dall’Ottocento
ad oggi. Difatti quest’ultima strada è nata nella metà
del secolo diciannovesimo quando la città fu collegata al
resto del paese con la ferrovia Trieste- Udine e con la stazione,
detta meridionale, distante dal centro un paio di chilometri. La
nuova strada di collegamento fu battezzata via della Stazione ed
in seguito Corso Francesco Giuseppe. Venuta l’Italia fu ribattezzata
Corso Vittorio Emanuele III poi, seguendo gli eventi, Corso Muti
con qualche tentativo di modifica in Feltrinelli e subito dopo In
Corso Tito. Con l’arrivo degli americani fu ribattezzata Corso
Roosvelt e, finalmente, Corso Italia, la via degli eleganti negozi.
Strade, luoghi, contrade che fin’ora ho ricordato in queste
memorie, mi riportano indietro nel tempo, a quando ancora la mia
Gorizia non era stata divisa da un assurdo confine che ha rotto
una convivenza millenaria della sua gente in questo territorio.
La “Nuova Gorizia”, questo il nome che ha assunto l’abitato
posto oltre il filo spinato, oggi per fortuna in via di sparizione,
è stata riempita di persone provenienti da varie parti della
Slovenia e con le nuove costruzioni ha cancellato luoghi agresti
profumati che mi hanno accompagnato nella vita, come la Valdirose,
diventata Rozna Dolina, le sue vecchie trattorie con gli struccoli,
l’antica foresta della Panovizza che ha perduto spazio, e
che, spero, regoli ancora il clima cittadino, l’Aisovizza,
abitato che sorge sul Liach, torrentello che divideva il comune
di Gorizia da quelli della valle del Vipacco e, per ritornare verso
la città, Cronberg, ossia Moncorona, oggi Kromberk, meta
di liete brigate, Salcano, oggi Solkan, l’antica Silicanum,
tappa obbligata per salire sul santuario del Monte Santo, tutti
luoghi che circondano la nuova ed anodina città che ha prolificato
ritrovi e casinò frequentati da star televisive italiane
e straniere e da incalliti giocatori, da fabbriche che ammorbano
la vera e vecchia Gorizia. Rimane ancora una curiosità turistica,
la piazza Transalpina, sede della stazione ferroviaria settentrionale
che collegava Trieste alla Stiria ed a Vienna e che è stata
da poco liberata da un muretto che la divideva fra i due stati.
Si può, oggi, mettere un piede nella Slovenia, ma una libera
circolazione avverrà quando saranno attuate e definite le
clausole del trattato di Schengen. |
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