Sociologo 
docente Università 
Ca’ Foscari Venezia

TRA ECONOMIA E PROGRESSO

Treviso, un secolo di cambiamenti: 
da capoluogo agricolo, a capoluogo del terziario.

 

arca gioiosa et amorosa» ma anche luogo che ha saputo ben adeguarsi ai tempi sempre più frenetici. Città industriosa, aperta al territorio esterno e ai cambiamenti economici che ha ospitato e guidato. Non è facile dire cos’è oggi la città di Treviso da un punto di vista economico. Certo, è senza dubbio la opulenta “città vetrina” di una provincia che si pone al quinto posto tra le province italiane per reddito procapite. 
    Insomma Treviso capoluogo di una Marca che da «gioiosa et amorosa» è divenuta pure industriosa ed industriale (l’etimo è lo stesso), anzi iperindustrializzata, una Marca divenuta una poderosa macchina economica che ha contribuito a trasformare in questi ultimi trent’anni il Veneto da “sud del nord” (come venne detto negli anni Cinquanta) a “nord del nord”. 
    Tuttavia Treviso non è solo un capoluogo che si limita a specchiare la sua brillante provincia circostante: ha pure una realtà economica propria, oggi ovviamente più che altro terziaria e perfino timidamente (ed insufficientemente), quaternaria, che pulsa dentro i confini comunali. 
Certamente il boom economico locale si avvia, com’è noto, a partire dalla fine degli anni Sessanta: prima il Veneto era una realtà economica modesta, ma non troppo. Dicono gli storici infatti che alla fine dell’Ottocento il Veneto era la terza regione industriale d’Italia, al confine tra le regioni più avanzate e quelle più arretrate. 
     A Treviso il Novecento inizia in modo economicamente brillante, dopo un fiacco periodo post-annessione. Infatti il censimento del 1911 rileva non solo 366 opifici con più di 3300 operai, ma anche un dinamismo prima sconosciuto, con incrementi dei traffici e della popolazione. 
Infatti un industriale trevigiano importante come Gregorio Gregorj rilevava nel 1909 il «numero delle nuove case fabbricate e l’aumento di nuove contrade». Il censimento fascista del 1931 fotografa una città di Treviso dove ancora più del 17% della popolazione è attivo nell’agricoltura mentre gli analfabeti sono il 6,7% degli abitanti. 

Via Ortazzo

Dopo la guerra la prima fotografia censuaria è del 1951: i lavoratori dell’agricoltura sono scesi al 12%, quelli dell’industria sono pari al 32% e nel terziario lavora ormai la maggioranza assoluta degli abitanti: il 56%.     Uno studio della Camera di Commercio effettuato alla metà degli anni Sessanta classifica Treviso tra i comuni più dinamici della provincia: un segno di ciò è dato dagli abbonati alla televisione (nata nel 1954), pari a 146 ogni mille abitanti. Mutano anche altri indicatori di consumo, come le auto, che nel 1971 sono pari a 26 ogni cento abitanti, e gli abbonati al telefono, pari a 20 ogni cento abitanti. E se trent’anni fa esplode il boom economico, è la seconda metà degli anni Ottanta a portare una accelerazione vistosa dello sviluppo. 
    Oggi Treviso è una realtà urbana dove esiste una attività economica quasi ogni dieci abitanti, dove un quinto di queste attività ha natura artigianale ed un altro quinto ha natura industriale, dove le attività commerciali superano il 43% di tutte le attività economiche, dove ogni 130 abitanti c’è uno sportello bancario, dove abbiamo due auto ogni tre abitanti, 97 abbonamenti telefonici ogni cento famiglie e 86 abbonamenti televisivi sempre ogni cento famiglie; e naturalmente l’attività agricola è solo un ricordo di altri tempi. 
    Se diamo un’occhiata alla tipologia di attività economiche presenti nel comune, la parte del leone spetta alle ditte commerciali (all’ingrosso e al minuto): 2330, quasi un terzo di tutte le ditte presenti sul territorio. 
Ma numerose sono pure le imprese edili, quelle immobialiari e quelle ­ assai variegate ­ di servizi alle imprese (studi legali, di consulenza, di pubblicità, e così via). Sono circa 23.500 coloro che lavorano a Treviso: naturalmente non tutti questi vi abitano, per cui nelle consuete ore del mattino e della sera il traffico si ingessa per effetto dei flussi di pendolari in entrata e in uscita. 
Di questi 23 mila, 4.600 sono i lavoratori del commercio, come commessi e banconieri; ma vi sono pure 1.400 bancari, 1.800 addetti alla manutenzione, riparazione e montaggio di macchinari vari, tra cui naturalmente gli elettrodomestici; 1.400 addetti all’edilizia; 1.300 professionisti e dipendenti dei servizi alle imprese; 1.200 riparatori di apparecchi elettrici ed elettronici; 1.100 addetti alla sanità e ai servizi sociali. Nel terziario avanzato, complessivamente, lavorano più di seimila addetti. 

    Essendo però Treviso, come si diceva, il capoluogo di una provincia economicamente leader, buona parte delle sue attività sono in funzione del territorio esterno, dei comuni che le fanno corona attorno (e che, insieme, porterebbero l’intera area urbana a circa 150 mila persone) e di quelli più lontani della provincia. 
    Il flusso continuo, in entrata ed in uscita, di persone, merci ed informazioni testimonia questa difficoltà ad isolare Treviso dal territorio circostante, dalla sua provincia. Addirittura il rischio è che Treviso sia solo una città vetrina, ma con scarsa vita propria; lo svuotamento del centro storico (solo 7.900 persone dentro le mura, più di un terzo delle quali anziane!) rende l’idea di una città più usufruita da utenti (di cinema, negozi, scuole, manifestazioni, uffici...) che vissuta da cittadini residenti. Come dire, più shopping e visite che vita quotidiana radicata nella città. 
    L’augurio da fare a Treviso è allora questo: che trovi il suo equilibrio vitale tra l’essere centro economico e luogo di socialità. 
Per quanto riguarda il primo aspetto, è da auspicare e promuovere una robusta crescita del terziario avanzato, perchè di servizi pregiati alle imprese ed alle persone l’economia locale è, com’è noto, ancora decisamente carente. 
    E circa il secondo aspetto, Treviso va non solo “usata” ma soprattutto vissuta, favorendo l’insiedamento abitativo nelle aree centrali. Altrimenti il centro storico si ridurrà ad essere davvero... storico, muto testimone dei fasti architettonici ed artistici del tempo che fu e dei fasti dello shopping del tempo attuale; un centro quasi museale solo da visitare e da “consumare”, e quindi sostanzialmente morto.

Fine

 
 
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