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In effetti ne ho ricavato un bel
quadretto dell'autore, amante della sua terra d'origine, la bella
Malo "i rapporti con i luoghi dell'infanzia sono principalmente
sensuali, hanno la caratteristica di essere legati ai propri sensi,
i rapporti che abbiamo invece con i luoghi che frequentiamo da adulti
sono legati ai rapporti che abbiamo con le persone, hanno una struttura
sociale più che sensuale." Ecco quindi una prima diversità nel tipo
di rapporto che si può instaurare con le diverse località e questa che
viene a ragione definita una "dottrina dei luoghi" è indubbiamente molto
cara all'autore che vive tra Thiene e Londra, ma è legato
profondamente anche alla sua Malo; e a Thiene è legata parte del suo
lavoro letterario, "qui a Thiene ho scritto quasi tutte le parti dei
miei libri che sono state scritte in Italia". Certo, vivendo spesso
in Inghilterra, non poteva mancare un amore speciale per la cultura
inglese e per il poeta irlandese William Yeats, ma allo stesso tempo
rimane intenso il legame con la sua terra non disdegnando termini
dialettali che, "se trattati come si deve, hanno la stessa dignità
di tutti gli altri", e allora troviamo allegri giochi fonici e una sfilza
di parole: potàcio, batòcio, spuàcio, pastròm e ancora balòco,
sgnaròco, sogato, peòcio.
Sinceramente, quando le ho lette per la prima volta, mi sono messa a
ridere e mi son detta: "però, guarda cosa si può inventare con il
dialetto!" certo, non è strano, quest'uso e amore del dialetto, molti
scrittori e poeti lo hanno utilizzato e tuttora se ne avvolgono, basti
pensare a Noventa, Zanzotto e molti altri, ma mi chiedo per quanto
durerà! Ho tutta l'impresione che le nuove generazioni usino sempre
meno il dialetto, io stessa, ammetto, lo conosco pochino e poi ci si
sta avviando verso l'era "cibernetica", se mi è concesso usare questo
termine, e quindi, anche il linguaggio cambierà, sta già cambiando, cosa
rimarrà allora di quei termini unici come "pastròcio" che, si badi
bene, Meneghello identifica solo nella macchia d'inchiostro prodotta
dal pennino che si usava a scuola, solo quello è il vero "pastròcio" e
il "pastrociare" era quello prodotto dalle macchie di inchiostro sui
quaderni.
Ricordi di un passato che è cambiato assieme a certe parole.
Chi al giorno d'oggi usa il pennino? Al massirno si usa la penna
stilo, ma questa, a meno che non sia difettosa e spanda inchiostro, non
si può certo dire faccia "pastroci".
Conseguenza è che il termine
"pastròcio" perde già un suo significato, ma non c'è da stupirsi, si
sa che il linguaggio cambia con la società, certo non l'italiano
standard ma tutte quelle lingue che
appartengono
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