Piazza Vittorio Emanuele II
ROVIGO
 

Da una lettura della vita della piazza, una traccia per approfondire le due anime, popolare e colta, dei suoi abitanti.

 
         
 
on è facile scrivere o parlare della piazza principale di Rovigo, capoluogo di provincia ai confini con l’Emilia-Romagna. È una città piccola, sonnolenta, ma operosa, "toccata" soltanto, e quindi non immersa nel modello di sviluppo veneto, anche se ha imboccato la strada per raggiungerlo.
Non è facile né scrivere né parlare, perché della piazza maggiore di Rovigo, intitolata a Vittorio Emanuele II, non si sa se privilegiare gli aspetti storici, urbanistici architettonici oppure quelli economico-sociali per cui questo spazio pubblico è stato ed è trasformato in salotto, in punto di riferimento per coltivare rapporti umani, per arricchimenti culturali che altrove non sarebbero possibili, per rappresentazioni di spettacoli destinati al popolo ma anche alle classi più colte, per fiere, mercati ecc.
 
 
 
L’elenco potrebbe continuare citando altri capitoli di una storia affascinante e che il tempo non ha sbiadito grazie anche alla memoria popolare e ai contributi che sono stati offerti dal volume, elegantissimo e di facile consultazione, Rovigo. Ritratto di una città, edito da Minelliana nel 1988, con la speranza che l’archivio della memoria sia stato aperto al punto giusto. "Le notizie dirette sulla piazza Maggiore di Rovigo", è scritto nel libro della Minelliana, "si ricavano dagli statuti cittadini del XIII secolo e ci permettono di sapere anche che a quell’epoca essa era già circondata da portici". Attenzioni particolari, di privilegio, poi, andavano ai cittadini che abitavano le case che sulla piazza si affacciavano. La storia, ricorda ancora la pubblicazione della Minelliana, dice che se questi cittadini fossero stati condannati per debiti non avrebbero potuto essere arrestati fino a che fossero rimasti in casa. Questo fatto, si sottolinea ancora, lascia capire come lo spazio della piazza fosse caricato nel Medioevo di un valore sociale particolarmente forte, quale ora si stenta a cogliere spontaneamente.
 

Lo spazio della piazza Maggiore, lo ripetiamo, era destinato a ospitare mercati, fiere, cerimonie civili, militari, religiose e spesso contribuiva a intrecciare relazioni sociali. La piazza si faceva poi luogo per le quatro ciacole o per fare pettegolezzo, riti di tutto il Veneto, i soli che danno sapori veri alla quotidianità. Più recentemente piazza Vittorio Emanuele II si presentava e si animava con i suoi caffè. Non ancora isola pedonale, i mediatori, ormai senza presente e senza futuro, dopo la nascita di un numero incredibile di agenzie immobiliari, trovavano rifugio per proporre "affari d’oro" alla vecchia Birreria Pedavena, e al Caffè Franchin. Era il mondo delle proposte di vendita e di acquisto: non soltanto di case o terreni agricoli, ma anche di paglia, fieno, frumento, granoturco, mucche, cavalli, asini, muli, maiali ecc. C’era poi il Caffè Lodi, aperto anche tutta la notte, dove si giocava a carte per ore e ore. In questo locale, poi, si davano appuntamento i cronisti locali dopo il "giro di bianca e di nera".

(continua ®)