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e
dovessi dare una definizione di me stesso, mi chiamerei luomo
delle colline poiché alle colline friulane sono profondamente
legato, come ad esse è legato anche il mio destino. Infatti sono
nato a Cassacco, un paese che almeno in parte è costruito in
collina. Il suo castello, uno dei più belli e ben conservati
del Friuli, domina il paese, ed è circondato da gradoni che scendono
verso la parte bassa del villaggio. A cento metri dal castello sorgono
le antiche scuole, ora trasformate in biblioteca ed auditorium da sagge
amministrazioni comunali.
In esse, settantatré anni fa, nacqui io; mio nonno vi abitava
di diritto, essendo maestro, mentre la nonna era la levatrice del comune.
Allora per venire al mondo, era sufficiente labilità di
una levatrice.
Più tardi, quando i miei nonni cambiarono casa, al castello di
Cassacco ci andavo spesso, perché vi abitava una persona di mia
conoscenza.
Così il castello e la sua collina erano, per così dire,
il mio feudo fantastico, secondo il modo di immaginare dei bambini.
Lassù scorrazzavo alla ricerca di qualcosa che non cera
e non poteva esserci, un mondo epico-cavalleresco, finito da secoli.
Leggevo allora le vicende di Tancredi dAltavilla o del Cid Campeador,
nelle versioni prosa di una famosa biblioteca per ragazzi, La Scala
doro.
La mia immaginazione era di tipo epico e tale rimase anche quando cominciai
a scrivere; e lo è pure oggi, alla soglia della vecchiaia. Ero
anche molto attratto dalla natura. A volte nel saliscendi delle colline
moreniche mi immergevo come si trattasse di un luogo di meraviglie.
Usavo le biciclette dei miei nonni, e le continue salite e discese delle
strade mi vedevano arrancare con fatica, o scendere a velocità
pericolose.
Negli anni 30 o 40 esisteva ancora il Grande Sonno
delle campagne, e la vita si svolgeva in modi alacri e laboriosi, ma
immersa in unatmosfera che la collocava quasi per intero fuori
della storia. Non verano né radio né televisori,
e le notizie del mondo entravano in paese soltanto attraverso un giornale
che si potevano leggere in osteria. A quellepoca persino i trattori
e i motorini erano rari.
I paesi alla mia portata erano Montegnacco, Cassacco, Conoglano, Raspano,
Vendoglio, Treppo Piccolo, Treppo Grande; raramente arrivavo a Fagagna,
Caporiacco, Mels, Pers, Colloredo di Monte Albano, Artegna, tutti paesi
in collina. Altri più lontani, come Gemona, Osoppo, San Daniele,
Ragogna, mi erano noti soltanto attraverso i racconti degli adulti.
Ma nellimmaginazione assumevano un volto un po leggendario,
che poi non si dissolse nemmeno quando li vidi per la prima volta. In
me vè sempre stata una sorta di coerenza psicologica e
di fedeltà anche nel versante del paesaggio, e quindi della collina.
In Friuli vè pure la montagna, la laguna e il mare. Ogni
tipo di paesaggio vi è rappresentato, come ricorda una pagina
citatissima di Ippolito Nievo, che nel castello di Colloredo visse alcuni
periodi della sua vita, e vi compose anche nel 1857, il suo libro più
famoso, Le confessioni di un italiano. Il castello apparteneva a una
serie di famiglie nobiliari friulane e lombarde. Fu semidistrutto dal
terremoto del 6 maggio 1976, e fu quasi un miracolo che non vi furono
delle vittime, perché gli abitanti erano numerosi. Lo disse anche
Stanislao Nievo, bisnipote di Ippolito e scrittore anche lui, nel Padrone
della notte, dove il terremoto descritto esercita una suggestione potente.
Il grande complesso edilizio del castello di Colloredo, prima del terremoto,
era ricchissimo di suggestioni anche per me. Ricordo soprattutto il
colpo docchio che offriva da lontano, quando si giungeva da Pagnacco,
per una strada diritta come quelle romane, che prima scendeva e poi
risaliva. Il castello, torre, mura, costruzioni cinquecentesche, dipendenze,
creavano lidea di una cittadella molto vasta. Il termine di paragone
più adatto è forse la cittadella del castello di Praga,
che ispirò uno dei libri più famosi della letteratura
novecentesca, Das Schloss di Kafka.
Quando cominciai a guadagnare sostanziosi diritti dautore, anchio
realizzai uno dei sogni della mia vita, ossia la costruzione di una
casa sulla collina di Raspano, in vista di ben cinque castelli. La cosa
singolare è che anche la collina da me acquistata è in
qualche modo legata alla letteratura, anche se in modi più modesti
del castello di Colloredo. Nellottocento infatti apparteneva al
più noto autore di teatro della nostra letteratura, Teobaldo
Ciconi, amico di Ippolito Nievo. Lultimo lavoro di Andreina Ciceri
consiste appunto nella raccolta e nel commento alle lettere che il Ciconi
e il Nievo si scambiarono.
Con la costruzione della casa di Raspano, il mio destino di uomo della
collina ha ripreso a svilupparsi. Prima giravo spesso per le strade
della zona morenica con mia moglie e la sua automobile (io non guido),
guardando, fantasticando, chiedendo a molti se in qualche parte fosse
rimasto un lembo di terra da acquistare.
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Pareva
che non ci fosse, perché già a quellepoca era cominciata
da tempo la fuga dalle città. Poi allimprovviso trovai.
Come avviene nei racconti di Borges, molti segni si impastarono tra
di loro e finirono per dare origine a una realtà.
Così sono diventato davvero luomo delle colline, e nella
casa di Raspano diedi vita a una vasta narrativa, che rappresenta il
corpus epico più vasto e consistente della letteratura friulana.
La collina in certo modo si è impastata con il mio lavoro e gli
ha conferito un carattere.
Ritengo che anchessa, come la montagna o la pianura, generi un
tipo di uomo particolare. Il paesaggio rientra nella nostra anima e
le dà forma, colore e fisionomia. «Noi siamo il paesaggio,
e il paesaggio è noi», afferma una volta Rainer Maria Rilke.
Di questo sono assolutamente convinto.
Le peculiarità epiche della mia narrativa hanno le loro radici
anche nel paesaggio collinare, sereno, solare, dolce, relativamente
silenzioso; ad esso, è certo legata la mia Weltanschauung, che
si sforza di uscire dal decadentismo, ed è legata ad una concezione
armoniosa e ariostesca delluniverso, dopo aver in gran parte superato
langoscia contemporanea e il male di vivere montaliano.
Luomo di collina è un individuo del giusto mezzo, del centro,
della misura. Rifugge dagli estremismi.
È tendenzialmente contemplativo, come il montanaro, ma con una
concezione meno cupa, dolorosa e faticosa dellesistenza, che trova
il suo simbolo più alto nel Cristo crocefisso. Vede le cose da
lontano. Per i suoi simili prova simpatia, ma prima di mescolarsi alle
loro passioni, specie quelle legate alla storia e alla politica, ci pensa
parecchio. Non scende nellAgorà e nel mercato,
come il Zaratustra di Nietzsche, ma resta in alto a guardare lassù
con serenità le cose agitate del mondo. Questo è il ritratto
ideale delluomo di collina, ed è anche il mio autoritratto.
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