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Dietro
il cuore delle lagune dell’alto Adriatico, come un agrume maturo,
il territorio si apre al gusto con molti spicchi. L’orizzontale
pianura è solcata da un sistema venoso di fiumi che segnano,
dividono, mescolano tradizioni e sapori. Tra Piave e Isonzo, dunque,
è corretto parlare di cucine regionali e piatti del territorio.
Specificatamente al plurale, anche se l’ispirazione antica ha
caratteristiche comuni.
Da un lato, un tempo, una ristretta cerchia di nobili poteva permettersi
una dieta varia, scelta e particolare, a volte con risvolti esotici,
documentata dai ricettari familiari; dall’altra la gran parte
delle persone viveva una difficile quotidianità rurale, strettamente
aggrappata alle offerte stagionali. La cucina era semplice, immediata
e varia, necessariamente figlia della variabilità del territorio
e delle culture che lo abitavano, friulana, veneta e austriaca nelle
sue propaggini isontine. Negli anni, si è però lentamente
modificata e affinata nel gusto e negli ingredienti. I prodotti di eccellenza
rimangono il formaggio Montasio, l’Asiago e il prosciutto di San
Daniele, a Denominazione d’origine protetta, accanto ai radicchi
della pianura veneta, agli asparagi bianchi di quella friulana e alle
parecchie decine di “prodotti tradizionali” attualmente
oggetto di un’attenta rivalutazione. Nella pianura veneta, tra
il Piave e il Tagliamento, grazie al lavoro sapiente degli chef locali,
le proposte culinarie a base dei tre radicchi, Treviso, Chioggia e Castelfranco,
hanno raggiunto picchi di vera eccellenza. Questa, poi, è la
terra della polenta maritata con funghi, tocio, pesce e formajo, di
malga, imbriago o casatella e del baccalà che insidia da vicino
il primato di bontà dell’omonima preparazione vicentina.
Nei menu non manca mai un bel piatto di zuppa o di minestra, trippe
in brodo o alla parmigiana, bigoli. A Pordenone, la gastronomia tradizionale
della bassa si appoggia su una cucina che offre piatti semplici, ispirati
a ricette di origine friulana o “contaminati” dall’impatto
con il vicino Veneto.
Tra i primi troviamo le minestre di orzo e fagioli, di riso con patate
o con piselli, risi e bisi. Tra i secondi: frittate, pietanze a base
di carni di animali da cortile e selvaggina, accompagnate dal formaggio
Asìno di antica origine, le forme vengono passate, per parecchie
settimane, in una salamoia di siero, panna e polenta. Oltre al baccalà,
il pesce richiesto con più frequenza è la trota, il Friuli
Venezia Giulia ne è il più importante produttore italiano.
Durante l’inverno, viene confezionato uno degli insaccati di carne
suina più particolari: la bondiola o saùc, macinato di
cotechino, lingua e muscoletti interni, impastati, marinati nel vino
rosso, aromatizzati e inseriti nella vescica del maiale. Nell’udinese,
da tempi remoti, il re della tavola era proprio il porco, allevato in
ogni famiglia e le cui carni insaccate costituivano la scorta proteica
principale per tutto l’anno. Non mancavano i piatti dove si faceva
uso di altri animali ruspanti: coniglio, gallina, pollo, tacchino, faraona,
anatra e oca volatile al centro di una vera e propria operazione di
rinascita gastronomica. La carne, comunque, come molti dolci, rappresentava
il lusso delle feste. Negli altri giorni si preparavano piatti a base
di erbe spontanee, funghi, verdure, frutta, cereali, soprattutto zuppe
e minestre, formaggi, con l’onnipresente Latteria e il famoso
frico e uova. La famiglia si riuniva attorno al tagliere su cui era
rovesciata una fumante polenta dorata. Con le rape inacidite sotto la
vinaccia si produceva e si produce la brovada che, cotta a lungo con
il cotechino, permette di gustare un piatto un po’ ruvido forse,
ma unico e particolare, a caccia del riconoscimento europeo di qualità.
Pesci e anguilla, il bisato in speo è una vera ghiottoneria,
comparivano con regolarità sulle tavole dell’entroterra
lagunare. La cucina goriziana, infine, ha avuto per molti decenni uno
sguardo rivolto a Est.
Grazie alle contaminazioni con quella dei popoli confinanti, diversi
tra loro per lingua, usi, costumi e tradizioni, si è arricchita
di sapori esclusivi. I traffici con Venezia e il suo mondo hanno influito
sulla preparazione di minestre e risotti, sul grande uso della polenta
e del pesce, re incontrastato della cucina gradese.
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I piatti forti sono costituiti dalla selvaggina, fagiano, lepre,
capriolo e cinghiale, dalle preparazioni a base di carne suina,
antipasti, grigliate, bolliti e prosciutti cotti nel pane. Tra
i primi piatti eccellono i blecs, pasta fatta in casa e tagliata
a strisce, esaltati dai sughi d’arrosto e selvaggina; gli
gnocchi di semolino e patate ripieni di susine e conditi con burro
fuso e cannella, le minestre di verdure. Le frittate con le erbe
sono ancora oggi il vanto della tradizione contadina. Essenzialmente
ispirati alla tipicità mitteleuropea sono invece i dolci:
gli strudel di mele, ciliegie, pinoli e uvetta, le profumate crostate
e la notissima putiza, una pasta ripiena e arrotolata. Su tale
robusto canovaccio, un capace gruppo di ristoratori, sparpagliati
nei paesi e nelle città, ha creato una gastronomia sopraffina,
in grado di far apprezzare la tradizione di queste terre a ogni
genere di moderno palato e sensibilità culinaria.
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