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Biologo
   

Una natura contrastante e inquieta

IL CARSO TRIESTINO
E GORIZIANO

 
Le cinque riserve naturali regionali del Carso tracciano
un prezioso percorso di memorie storiche e culturali, dove la diversità
biologica e paesaggistica trova la sua massima forma espressiva.
 
     
 

n viaggio in direzione Trieste. Oltrepassata l’uscita per Redipuglia, dove l’autostrada curva a destra, il paesaggio cambia bruscamente aspetto. Sull’estremo margine orientale della pianura giuliana sembra sia precipitato dal cielo, incastonandosi, un immenso ammasso di roccia calcarea, originatosi dal sollevamento di scogliere coralline di un antico mare: il Carso. Oggi questo territorio, tanto prezioso quanto vulnerabile alle costruzioni e agli abusi, è tutelato solo in parte da cinque riserve regionali, istituite formalmente con Legge Regionale sulle aree protette nel 1996 in previsione del futuro “Parco del Carso”, che provvederà a dare continuità territoriale a questo complesso e affascinante ecosistema.

Riserve naturali regionali del monte Lanaro
e del monte Orsario

Le riserve dei monti Lanaro e Orsario, ricadenti nei Comuni di Sgonico (Zgonik) e Monrupino (Repentabor), esemplificano caratteristiche e storia dell’intero altipiano carsico. L’elemento dominante del monte Lanaro è il bosco, da quello a carpino bianco, limitato nelle doline più profonde, ai solenni querceti a cerro e rovere, rari esempi di come poteva apparire il Carso nel Neolitico, quando il clima mite favorì i primi insediamenti umani. L’abbandono della vita itinerante ha rappresentato un momento cruciale per l’evoluzione del paesaggio naturale. Per prima cosa, l’uomo iniziò a tagliare gli alberi dell’antica foresta carsica per praticare le attività agricole stanziali, in particolare la pastorizia; intanto una formazione del tutto nuova andava sostituendo la foresta: la landa, un habitat seminaturale ricchissimo di specie, molte delle quali rare.
Fu difatti sulle zone disboscate che cominciarono ad immigrare specie prative, in gran parte provenienti dalle steppe orientali, che si adattarono al morso e al calpestio degli animali da pascolo; un processo millenario di coevoluzione e speciazione in cui la presenza dell’uomo ha giocato e potrebbe giocare un ruolo determinante. Il bosco a querce dominò comunque per molti secoli ancora, finché l’ingresso di popolazioni dedite alla pastorizia e alla produzione di carbone, in età feudale, accelerò il processo di disboscamento fino al completo denudamento dell’altipiano ai primi del secolo XIX, una distesa desolata di landa rocciosa spazzata dalla bora.

 

Panorama visto dal monte Stena, in primo piano il particolare aspetto della landa crasica

Tuttavia, negli ultimi due secoli l’imponente opera di rimboschimento a pino nero iniziata dal governo asburgico e l’abbandono delle attività rurali tradizionali a seguito del boom economico, hanno drasticamente invertito la tendenza. Privata dell’azione dell’uomo, la natura ha reagito innescando imponenti processi di dinamica naturale verso la ricostituzione boschiva.
Oggi sul Carso domina la rigogliosa boscaglia carsica a carpino nero e roverella a tratti interrotta da frammenti di landa sempre più chiusa dallo scotano e dal ginepro; una grave perdita se pensiamo che in questo habitat, vero e proprio monumento naturale, la biodiversità raggiunge i massimi livelli espressivi. Sul monte Orsario resistono ancora tratti di landa, dove dall’inizio della primavera al tardo autunno si alternano le variopinte fioriture, mentre in estate si accentua il tipico odore emanato dalle piante aromatiche, come la santoreggia (Satureja subspicata ssp. liburnica), che trova in queste riserve il limite occidentale di distribuzione.
Accanto ai boschi e alla landa, gli elementi architettonici e rurali costruiti con materiale litoide ricavato da un secolare lavoro di spietratura, come le tipiche case carsiche e i muretti a secco che delimitano strade e proprietà, si integrano armonicamente nel paesaggio naturale rendendolo, nell’insieme, intimamente articolato, quasi segreto.
 
 
 

Riserva naturale regionale delle Falesie di Duino
La riserva, ricadente nel Comune di Duino Aurisina, comprende un tratto di costa alta, unico esempio della costa adriatica settentrionale, dove le pareti calcaree, interrotte da torrioni e brevi tratti di macereti, scendono a picco sul mare. La forte acclività, il potere termoriflettente del mare e la protezione dalla Bora, rendono le falesie preziose stazioni di rifugio per la macchia mediterranea, un probabile relitto risalente al periodo xerotermico (2500-800 a.C.), quando l’uomo, nell’immediato entroterra, iniziava la lavorazione dei metalli.
Percorrendo la “passeggiata Rilke”, unico sentiero di attraversamento della riserva che si snoda lungo il ciglione della falesia, è possibile osservare la transizione dal mondo delle piante caducifoglie a quello delle sclerofille. L’elemento mediterraneo come il leccio si mescola a quello di provenienza illirica come l’orniello e il carpino nero, dando luogo a un’associazione di piante che dalla Grecia si estende fino al Canale di Leme, in Istria, per poi ricomparire e fermarsi a ridosso della Costiera triestina.
Queste falesie sono l’habitat di numerose rarità floristiche, come la Centaurea fronzuta (Centaurea kartschiana), specie endemica che cresce sulle rupi a mare trovando qui l’unica stazione mondiale. L’ambiente rupestre caldo e arido costituisce l’habitat ideale per i rettili, ma è anche sede di potenziale nidificazione del falco pellegrino.

 
Il panorama visto dal monte Stena verso la Slovenia. In primo piano il particolare aspetto della landa carsica
 
Accanto alle straordinarietà naturalistiche e paesaggistiche non va dimenticato che la costiera di Duino con il monte Hermada costituiva l’estrema difesa austriaca durante il primo conflitto mondiale. I punti panoramici presenti lungo il “Rilke” erano postazioni e fortificazioni costruite per controllare un eventuale sbarco di forze italiane nella baia di Sistiana.
 
 
 

Riserva naturale regionale della Val Rosandra
Interamente compresa nel Comune di San Dorligo della Valle (Dolina), la riserva include la più alta cima del Carso, il monte Cocusso (670 m) e il profondo solco della Val Rosandra scavato tra il monte Stena e il monte Carso dall’omonimo torrente Rosandra. Unico corso d’acqua in superficie del Carso italiano, il torrente segna, con una cascata di 30 m, la presenza della faglia di contatto fra calcari e flysh. Da questo punto il torrente scorre su superfici calcaree formando piccole cascate, laghetti e forre.
Oltre alla boscaglia carsica, alle pinete artificiali di pino nero e i particolari aspetti della landa sul monte Stena, l’eccezionalità naturalistica della riserva è data dalla molteplicità di ambienti della val Rosandra, da quello acquatico a quello rupestre.
L’aspetto morfologico della valle è particolare. Oltre all’orientamento nordovest-sudest che crea una via preferenziale di discesa della bora, i versanti orografici sono tra loro molto diversi. Pareti rocciose verticali esposte al sole del versante destro si contrappongono a vasti campi detritici del versante sinistro, creando situazioni microclimatiche quasi opposte.In particolare sui macereti si instaura una vegetazione pioniera dal carattere spiccatamente montano e rupestre, con un’elevata quanto eccezionale concentrazione di rarità floristiche di provenienza alpina e orientale, alcune delle quali trovano qui l’unica stazione italiana, come il centonchio granelloso (Moehringia tommasinii), specie illirica rarissima.

 
 
Inoltre è presente una specie terziaria, il cardo paonazzo (Drypis spinosa ssp. jacquiniana), sopravvissuta alle glaciazioni grazie a questi pendii estremamente selettivi che hanno rappresentato un luogo di rifugio.
La valle, nonostante l’aspetto selvaggio e apparentemente inospitale, è stata intensamente frequentata fin dalla preistoria. I ritrovamenti archeologici, la presenza di castellieri posti strategicamente sui versanti opposti per controllarne l’accesso, l’acquedotto romano che trasportava l’acqua a Tergeste, la medievale chiesetta di Santa Maria in Siaris, e altri ancora, testimoniano storia e tradizioni attraverso i secoli.
 
 
 

Riserva naturale regionale dei laghi di Doberdò
e Pietrarossa

Tra i molteplici aspetti del territorio carsico, accomunati da una generale aridità edafica, spicca l’eccezionalità data dalla presenza di ambienti umidi, che, oltre a elevare la diversità biologica, creano un contrasto paesaggistico molto particolare.
La riserva interessa i Comuni di Monfalcone, Ronchi dei Legionari e Doberdò del Lago (Doberdob), dove si trova il centro visite con strutture dedicate all’informazione e alla didattica. Non lontano dal lago di Pietrarossa verrà presto inaugurato il “Conver”, un centro visite che sarà sede di numerosi progetti tra i quali il ripristino della landa carsica e il recupero della pecora carsolina autoctona. La riserva è visitabile percorrendo i numerosi sentieri Cai, attraverso i quali è possibile raggiungere punti panoramici o ripercorrere i tracciati militari seguendo i resti delle trincee.
Il lago di Doberdò, assieme al lago di Circonio (Cerknica, Slovenia) rappresenta un raro esempio a livello europeo di idrografia superficiale legata al fenomeno del carsismo. Collocato in una zona di abbassamento del rilievo carsico, è alimentato attraverso un sistema idrico sotterraneo dalle acque del fiume Isonzo e Vipacco. Quando il livello di questi fiumi scende, l’acqua del lago defluisce attraverso numerosi inghiottitoi, creando talvolta un sistema di correnti anche di notevole velocità. L’ambiente umido che si viene a creare è per lo più una palude in avanzata fase di interramento in cui i diversi tipi di vegetazione, ognuno legato a una data profondità dell’acqua, si dispongono ad anelli quasi concentrici.

 
Notturno sul lago di Doberdò
 
Si passa così dai cariceti con le vistose fioriture delle cipolline (Leucojum aestivum), parente maggiore del bucaneve, al canneto a Phragmites australis fino ad arrivare alle zone a maggiore profondità, dove crescono specie acquatiche come le ninfee. Tra la fauna va segnalata la presenza del proteo (Proteus anguinus), anfibio cavernicolo endemico del Carso.
Di particolare bellezza è il piccolo lago di Pietrarossa, completamente immerso nella vegetazione ripariale e circondato dai salici cinerei che crescono compatti sulle sponde. Si tratta di un luogo di rifugio importante per molti uccelli acquatici che sembrano vivere indisturbati nonostante la vicina autostrada, efficacemente schermata dalla coltre di vegetazione.