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I rattoppi furono eseguiti con colori
ad olio. Non si badò molto ad incontrare le tinte. Le superfici
furono ripassate con ampie campiture di nuovo colore ed infine furono
patinate con delle vernici tinte in modo da conferire al lavoro un aspetto
“antichizzato”.
Questo tipo di rifacimento fu ripetuto con varia estensione
almeno tre volte, come si è già detto, ogni volta poi ricoprendo
i dipinti precedenti con strati di vernice tinta, applicata a pennello
con tale abbondanza da formare colature irregolari.
I ritocchi eseguiti rispondevano ai criteri d’intervento
di restauro com’era praticato in passato. Al di sotto, la pittura originale,
per quanto molto danneggiata, era ancora presente.
Alla fine, i dipinti del Marini erano irriconoscibili
sotto una spessa cortina di strati di colore che con il tempo si erano
alterati, inscuriti, ossidati. Anche questi dipinti, come la pala di Vincenzo
Del Mosaico, sono stati restaurati recentemente nel nostro laboratorio.
Dalla descrizione appena fatta, si comprende che il problema maggiore
è stato quello di consolidare il colore originale che era quasi
ovunque distaccato dalla tela di supporto e di rimuovere i numerosi e
spessi rifacimenti che coprivano il dipinto originario.
La tela stessa era estremamente delicata ed in un caso,
la Fuga in Egitto, addirittura mancante su larghe zone al di sotto delle
toppe che erano state incollate sul retro. Diversamente dalla pala del
San Michele, in cui la tela dipinta è stata risanata e conservata
tale e quale, le quattro tele del Marini sono state sottoposte ad una
complessa operazione di “foderatura” in seguito alla quale la funzione
di supporto delle tele dipinte è stata trasferita ad un doppio
strato di tela di puro lino ritorto ad umido
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montato su telai a tensione automatica. La pulitura del
colore ha comportato un lungo e paziente lavoro, perché spesso
non era facile determinare l’esatta successione degli strati di pittura
sovrapposti e l’identificazione di quello originale da recuperare. Sono
state rimosse anche tutte le stuccature. In alcuni casi quest’operazione
è stata molto delicata e lunga perché lo stucco inglobava
materiale pittorico originale frantumato che è stato interamente
recuperato.
Il pessimo stato di conservazione delle opere ha posto
alcuni problemi di metodo. È il caso, per esempio, della Fuga in
Egitto.
Il problema principale era dato dalla considerazione che nel dipinto c’erano
ampi buchi in cui erano stati fatti degli inserti dipinti. Andavano conservati
o rimossi? La loro rimozione avrebbe facilitato le operazioni di restauro
ed avrebbe permesso un perfetto risultato estetico, perché sarebbero
state eliminate le irregolarità della superficie.
Questa soluzione, però, avrebbe richiesto una
successiva integrazione pittorica della parte mancante che, data la superficie
interessata, significa un’estesa ricostruzione arbitraria oppure un trattamento
a “neutro” delle lacune. Si è preferito perciò conservare
gli inserti, considerando che essi costituiscono anche una testimonianza
storica che non deve essere cancellata.
Alla fine dei lavori di consolidamento e di pulitura,
i dipinti sono stati “ritoccati” secondo i criteri della Carta del Restauro
già osservati per la pala di Vincenzo Del Mosaico, naturalmente
adattati al caso specifico. È stato poi necessario riservare una
particolare attenzione ancora ai rifacimenti che si è deciso di
conservare, dato che presentavano delle tinte diverse rispetto all’originale.
contrasti.
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Un’altra opera di pittura recuperata
alla chiesa è la paletta che raffigura La Beata Vergine col Bambino
e le sante Apollonia, Lucia, Agata, Caterina ed un altro santo (non identificato).
L’opera era custodita in canonica per lo stato di degrado notevole. In particolare,
la tela era lacera in molti punti, e completamente deformata.
Il dipinto risale all’inizio del 1600, e dopo il restauro,
condotto con criteri analoghi a quelli delle opere che abbiamo già
descritto, è tornato al suo posto d’origine, cioè l’altare
laterale della navata che la tradizione e le antiche visite pastorali chiamano
“altare della Madonna”. Il recupero attuato con i recenti restauri ci permette
di leggere l’aspetto originario di importanti opere che sono anche documenti
significativi della storia del passato.
Per esempio il grande Crocefisso quattrocentesco che si
trova in sagrestia, o gli affreschi del soffitto.
Assieme alle opere pastorali, queste iniziative sono il segno della dedizione
di una comunità che, nel tempo, si è sempre dimostrata attiva
e presente. |
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