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   I canonici trevigiani ottennero la giurisdizione sulle suddette località nel corso di alcuni secoli. Tuttavia, la prima donazione, storicamente documentata, fu quella del conte Giovanni, presumibilmente figlio del conte Rambaldo di Treviso e vissuto alla fine del X secolo. La nomina del decano e dei saltari spettava ai canonici di Treviso e l’ufficio che essi esercitavano, detto decania o decanato, veniva concesso, con vera e propria investitura feudale, soltanto a qualche fedele amico. Da una pergamena del 1180 si rileva che era sorta una vertenza tra i conti di Treviso Manfredo I e Schenella I e i canonici per la giurisdizione su di un bosco.
   A difendere gli interessi dei canonici si fece avanti un certo Vitale, il quale era disposto a dimostrare con un duello che il bosco era proprio dei canonici. Il duello non ebbe luogo essendo stato raggiunto un accordo, e i canonici ricompensarono Vitale per la buona volontà dimostrata verso di loro con l’investitura feudale della decania di Melma.
   Le proprietà dei canonici trevigiani, che si trovavano nel territorio del comune di Silea, furono confermate da diverse bolle pontificie: di Alessandro III nel 1171, di Lucio III nel 1184 e di Urbano III nel 1187. Sul decanato di Melma i canonici esercitavano i poteri signorili, tra i quali ricordiamo il diritto di decania: elezione del decano e dei saltari, destinati il primo a dirigere, i secondi ad esercitare la sorveglianza nelle campagne e nei boschi della decania; il trasporto e la vendita del legname al mercato di San Michele di Melma.
   Il decanato è documentato a partire dal 1165, ma le proprietà si andarono progressivamente sfaldando, tanto che nel 1366 i canonici trevigiani possedevano soltanto 200 campi tra Villapendola e Porto.
   A Porto i canonici possedevano anche il prato, o «musile», dove si teneva il più grande mercato trevigiano, che fin dal 1151 è denominato mercato di San Michele di Melma. Il lettore potrà attingere altre notizie storiche dalle tre monografie finora pubblicate (di D. Scomparin e di I. Sartor).
   Gli storici, sul comune di Silea, hanno a disposizione una vastissima e ricchissima documentazione da cui eventualmente attingere dati e notizie. Negli archivi ci sono almeno 300 pergamene che aspettano di essere lette e trascritte.      

  CHIESA DEI SANTI VITTORE E CORONA DI CEDON - foto Gianni Mazzon

 
 
VEDUTA DEL FIUME MELMA NEI PRESSI DEL MUNICIPIO, NELLA ZONA CENTRALE DEL PAESE - foto Gianni Mazzon     

   Nel territorio comunale ci sono almeno 120 opere d’arte che meritano di essere catalogate, alcune delle quali d’autori di un certo livello.
Il toponimo Melma dovrà essere ricordato anche per motivi linguistici e letterari. Da Melma, villaggio un tempo famoso, nell’ambito della Serenissima Repubblica di Venezia, per il suo campanile alto e aguzzo, deriva «melmare», verbo intransitivo con particella pronominale (mi melmo), che letteralmente significa «sorgere, emergere, stagliarsi».
L’espressione tardo-settecentesca Campaniél de Melma indicava «spilungone, cindolone, tentennone, fuseragnolo»: termini con cui si connotava un uomo alto e magro. Melma, villaggio sul Sile, ha il campanile lungo e stretto: donde il nome vernacolo. Ancora alla fine dell’Ottocento si usava l’espressione: Te me par el Campanil de Melma per indicare una persona alta e magra.