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La
gloriosa strada ora denominata Claudia Augusta venne costruita per scopi
militari dagli imperatori Druso, che la iniziò verso il 15 a.C.
e Claudio, suo figlio, che verso il 48 d.C. ne portò a termine
l’intero percorso fortificato «ab Altino usque ad flumen Danuvium»,
in un tragitto lungo 350 miglia romane. La sua storia è compendiata
nel testo di un noto miliario ritrovato a Cesiomaggiore, nel bellunese
«Tiberio Claudio, figlio di Druso, Cesare Augusto Germanico, pontefice
massimo, insignito della potestà tribunizia per la sesta volta,
console per la quarta volta, insignito di potere militare per l’undicesima
volta, padre della patria, censore, la via Claudia Augusta che il padre
Druso, dopo aver aperto le Alpi con la guerra, tracciò, egli costruì
da Altino fino al fiume Danubio per 350 miglia».
Tra Altino e la strada Callalta, in località
di Olmi, oggi si può ancora osservare il semplice tracciato dove,
ad occhio nudo, non sono superficialmente visibili manufatti romani, ma
si può ugualmente cogliere l’assetto stradale antico nella sua
ampiezza originaria, delimitato da due fossati laterali che corrono paralleli
a 40 metri tra di loro; il tracciato è ben visibile fino alla località
Beato Erico (sui confini tra Sant’Elena sul Sile e Biancade) e poi riprende
con rettilineo stradale da Nerbon (il Narbonia vicus) fino alla Callalta.
Già nei secoli XVII-XVIII il terrapieno laterale
della strada venne in buona parte alienato dalla Repubblica di Venezia
a favore di privati possessori, che ridussero il “sedime” a coltura. In
un disegno steso nel 1744 per incarico dei nobili Da Riva si legge che
la terra relativa all’Agozzo «non serve per alcun uso, ne meno di
strada pubblica, essendo al presente tutta ripiena di erbe e sassi, senza
alberi, tal che come di presente s’atrovano salici».
Ingenti danni all’assetto dell’antica strada sono stati
prodotti nei decenni passati dagli scavi di argilla delle industrie di
laterizi della zona: il lastricato romano e i vecchi tombini che sono
visibili in alcune testimonianze fotografiche di alcuni anni fa ora sono
spariti definitivamente, così come è stato trasformato in
mattoni per l’edilizia il terrapieno in argilla alto circa sette metri
dal piano di campagna.
Gli antichi scrittori avevano conoscenza di questa importante testimonianza
della civiltà romana, ma le attribuirono i diversi nomi di Strada
d’Orlando (Giovanni Bonifaccio, fine sec. XVI), di Via Emilia Altinate
ed anche di Via Giulia (inizi Ottocento).
Con la decadenza dell’impero romano ed il passare dei secoli la strada
romana decadde da grande arteria di comunicazione e di difesa militare
a semplice sterrata di campagna. Un grave colpo le venne inferto in seguito
alla distruzione della grande e ricca città di Altino, avvenuta
nell’anno 638 ad opera del longobardo Grimoaldo.
Il nome dato localmente all’asse stradale romano è
quello di Agozzo o di Lagozzo. Nel secolo XIII la strada era documentata
nelle forme Wadocio e Zuadocium ed aqua Awadotij (termini entrambi documentati
nel 1272). Il catastico dei ponti e delle vie dell’anno 1315 restituisce
le lezioni Lavadozum e Guadocium, mentre l’analogo documento del 1423
riporta Guadozo.
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Nei secoli successivi troviamo
la compresenza dei termini Lagozzo (così detto alla fine del Settecento
dal conte Ottoni Guarnieri e dallo storico Filiasi) e Agozzo: quest’ultimo
sembra una corruzione del termine precedente, avvenuta tardivamente (a fine
Ottocento lo storico diocesano Agnoletti affermava che la strada si chiamava
Agozza e Goz).
L’interpretazione dell’etimo Lagozzo ha indotto il Filiasi
a vedervi una corruzione volgare del termine Augustum, con riferimento all’imperatore
Claudio Augusto, ma l’affermazione non risulta linguisticamente accettabile.
Nelle sue Memorie storiche sui Veneti, il celebre storico settecentesco
aveva pure avanzato un’ipotesi di derivazione da un improbabile costruttore
Acuzio «Quanto è lunga questa strada, da per tutto si chiama
Lagozzo, nome che io credo sia l’antico, che avea, ora guasto, ed alterato.
Ogni via romana avea il proprio nome, spesse volte acquistato dalla persona,
che l’avea fabbricata, come l’Emilia, la Flaminia, Galeria, Appia, ecc.,
e come pure la Postumia non molto lontana. Ora la nostra sarebbe forse stata
chiamata Acuzia da un Acuzio suo fabbricatore? E questo nome di Acuzia non
si sarebbe forse col tempo trasformato in Lagozzo? La gente Acuzia si truova
mentovata in molte antiche lapidi, ed osservo pure, che nella Venezia specialmente
ne furono trovate alcune, che di tal Gente fanno memoria». Ma più
avanti, nella stessa opera, l’autore sosteneva che «può essere
benissimo, che Lagozzo sia una corruzione di Augusta, e non di Acuzia come
credevo».
Sulla stessa strada interpretativa dell’ultimo Filiasi
si sono poi incamminati il Semenzi (1864) ed il Fraccaro (1957), il quale
richiama un’analoga evoluzione etimologica per Saragozza (da Cesaraugusta).
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