CLAUDIO GRANDIS

Storico

 


 

 

Strappando ai colli la pietra

TRACHITE

L'attività dell'uomo ha creato, con questo materiale, parte della pavimentazione delle calli veneziane

 

 

 

Piantata sulla terra anfibia della laguna, Venezia ha attinto sin dal suo sorgere alle risorse della Terraferma. Tralasciando i boschi di conifere e le macchie planiziali di rovere, abbattuti per alimentare l'insaziabile Arsenale, dobbiamo qui ricordare gli innumerevoli pali usati nelle fondazioni, la calce dei leganti cementizi, l'argilla destinata alle fornaci, la bianca pietra di Rovigno per gli ornamenti architettonici, ma ha impiegato soprattutto la trachite euganea, la masegna, o sasso vivo, come sovente ricordano memorie e documenti. Estratta sin dall'antichità, come provano le steli funerarie preromane del Museo Nazionale Archeologico di Este, la pietra vulcanica si è rivelata nel tempo la migliore e la più adatta per i basamenti di molti edifici e, a partire dal XV secolo, la più idonea ad arginare, lungo i litorali di Sottomarina e di Pellestrina, i marosi dell'Adriatico. La cava per eccellenza fu soprattutto il colle di Lispida, sfruttato già sul finire del Medioevo: i padri del locale monastero di Santa Maria non a caso furono spodestati delle loro proprietà dal governo della Serenissima interessato ad un maggior sfruttamento delle priare. Non lontano da Lispida, furono le basse collinette dell'Archino e del Pignaro ad essere assalite da schiere d'affamati cavatori, armati spesso di solo piccone. Dal Canal delle Piere la trachite veniva imbarcata e tradotta a valle di Rivella, all'Acquanera. Qui veniva trasbordata sui burci, barche più capienti, verso gli approdi della laguna.
Una spola durata secoli, interrotta solo saltuariamente da eventi straordinari, come le inondazioni o dalla scarsità di mezzi di trasporto.
Nel corso del XVIII secolo la trachite fu sempre più utilizzata anche per pavimentare calli e campi, campielli e rive della capitale lagunare, in special modo piazza San Marco e Riva degli Schiavoni. Uno sfruttamento che nel corso del XIX secolo assunse rilevanti dimensioni con effetti disastrosi per i pendii.
Le colline attorno a Monselice mutarono aspetto e profilo, soprattutto il Colle della Rocca e il versante meridionale di Monte Ricco. Tra i diversi titolari di quelle cave non possiamo dimenticare la famiglia Cini – proprio quella dell'Isola di San Giorgio che dà il nome all'omonima fondazione – che sull'attività estrattiva e sul commercio della trachite creò la sua fortuna. Altri cavatori trasportarono pietra euganea sulle rive delle Zattere e delle Fondamenta Nuove: Girardi, Corinaldi, Pamio, Bonetti, Lazzaro, Trevisan e Dalla Francesca, tutti disseminati con le loro sedi operative lungo la Riviera Euganea del canale Battaglia.
Le calli di Venezia, tra XVIII e XIX secolo, furono quasi interamente pavimentate con i selesi (selci), le pietre trachitiche di forma quadrangolare dalla base a forma di piramide capovolta, un profilo perfezionato nei secoli per meglio adattarsi ai fondi di posa in terra e sabbia.
Nei giorni di pioggia chi passeggia per la città lagunare – ma pure a Chioggia e nelle isole minori di Murano, Burano, ecc. – cammina senza scivolare: la masegna ha infatti la peculiarità di essere porosa e di assicurare perfetta aderenza alle suole delle scarpe. Burci e burchielle, carriole e braccia, fatica e sudore hanno dato vita all'epopea della trachite euganea, consentendo a Venezia di sistemare l'intera viabilità cittadina. Peccato che oggi, quando si manomettono le pavimentazioni di calli e campielli, le pietre non vengono più posate con l'antica tecnica dei selesi, così che il cemento (dannoso per la pietra) viene impiegato per assestare le pietre e riempire le fughe tra lastra e lastra formando un disgustoso bordo di malta cementizia. Quasi a ricordare, all'attento osservatore, che come son spariti scalpellini e barcari dagli Euganei, così dalla laguna son scomparsi i posadori che per secoli hanno saputo trasformare le fangose calli, e i polverosi campi veneziani, in un comodo e agevole manto sul quale camminar comodamente, senza mai abbandonare il cuore anfibio dello specchio lagunare.

 


 

Placed on the amphibious land of the lagoon, Venice drew since its origin from the Mainland resources. Leaving out the conifer woods and the oak plain scrubs, which have been felled to "feed the insatiable" Arsenal, it is important to remember the innumerable poles used for the foundations, the lime of the cement binder, the clay for kilns, the white stone of Rovigno for the architectural ornaments, but above all the euganean trachyte, the "masegna" or living stone, as memories and documents often remind. Extracted since antiquity, as proved by the pre-Roman funerary steles of the Archaeological National Museum of Este, the volcanic rock turned out to be the best and the most suitable for the basements of several buildings and, from the XV century, the most appropriate to embank, along the coasts of Sottomarina and Pellestrina, the large wave of the Adriatic Sea. The quarry par excellence was above all the hill of Lispida, already exploited at the end of the Middle Age: it was not a case that the fathers of the monastery of Santa Maria were dispossessed of their properties by the government of La Serenissima, mostly interested to a large exploitation of the "priare". Not too far from Lispida, the low hills of Archino and Pignaro were attacked by a crowd of hungry quarriers, often armed with only a pick. From the Canal of the Piere, the trachyte was taken on board and sent to Rivella, at the Acquanera. Here, it was transhipped on the "burci", larger ships, and directed to the lagoon landing. They went back and forth for centuries, except when, occasionally, extraordinary events occurred, such as for example floods, or in case of lack of means of transport. During the XVIII century the trachyte has been more and more used to pave "calli" and fields, small squares and shores of the lagoon city, such as San Marco square and Riva of the Schiavoni. It was an exploitation that, during the XIX century, had relevant dimensions with disastrous effects for the slopes. The hills which surrounded Monselice changed their shape and their outline, in particular the Hill of the Rocca and the southern side of Mount Ricco. Among the several owners of those quarries we cannot forget to mention the Cini family – just that related to the San Giorgio Island that gives its name to the Foundation – which made its fortune extracting and trading with trachyte. Other quarriers shipped the euganean rock along the shores of the Zattere and of the Fondamenta Nuove: Girardi, Corinaldi, Pamio, Bonetti, Lazzaro, Trevisan and Dalla Francesca, all scattered with their operations centres along the Euganean Riviera of the Battaglia canal.
The Venice "calli" between the XVIII and the XIX century were almost entirely paved with the "selesi" (flints), the quadrangular trachytic rocks with the base in form of reversed pyramid, a shape which has been improved during the centuries in order to better suit to the soil and sand laying surfaces.
During the rainy days, those who walk around the lagoon city – as well as in Chioggia and in the smaller islands of Murano, Burano, etc. – walk without slipping: the "masegna" has in fact the peculiarity of being permeable and assuring a perfect grip to the soles shoes. "Burci" and barges, wheelbarrows and arms, hard work and sweat have given life to the age of the euganean trachyte, allowing the city of Venice to improve the city road system. It's a pity that today, when the "calli" and the small squares are damaged, the rocks are not laid down in the ancient selesi technique, so that the concrete (bad for the rock) is used to adjust the rocks and fill the spacings between one paving slab and another creating a sickening cement mortar edge. It seems to remember to a careful observer that as the masons and the boatmen do not exist anymore in the euganean hills, so the lagoon lost the layers who for centuries were able to change the muddy "calli" and the dusty venetian fields into a comfortable and smooth pavement on which you can comfortably walk, without leaving the amphibian heart of the lagoon.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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