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Palladio non avrebbe dunque inventato nulla? Sul problema dell'autografia
della villa sono intervenuti, a più riprese in questo secolo, non pochi
studiosi. E' impossibile dare conto in questa sede, minutamente, di tutte
le considerazioni svolte, ancorché i più, e con buone ragioni, ammettano
una diretta responsabilità di Andrea, probabilmente condivisa, almeno
in un primo momento, con i suoi datori di lavoro della bottega di
Pedemuro: il che spiegherebbe, come ha convincentemente osservato nel
1970 Franco Barbieri, anche la modestia dei documentati compensi, che
corrono sino al 1550, quando l'edificazione del complesso era da tempo
conclusa, ma ancora si richiedevano disegni e aggiustamenti, soprattutto
per ospitare la ricchissima decorazione ad affresco degli interni, che vede
coinvolti Gualtiero Padovano, Battista del Moro e Giambattista Zelotti.
Di certo, un'invenzione non manca. Ed è la trasfigurazione di ciò che si
era effettivamente costruito nella pagina del trattato che Andrea pubblica
nel 1570, che rivela, lo diciamo con Gian Giorgio
Zorzi, «un edificio assolutamente diverso da quello eseguito», tanto
in pianta che nell'alzato, con il timpano sovrapposto alla parte centrale
del prospetto, con magniloquenti aggiunte sul retro, con un'attentissima
distribuzione simmetrica dei diversi corpi di fabbrica cui non si era mai
dato inizio. Ma qui si entra in un campo, se possibile, ancora più
accidentato, com'è quello tra il "Palladio in cantiere", secondo la classica
definizione di Puppi, e l'autore dei Quattro Libri.
Ai tanti problemi sin
qui elencati dovremmo aggiungere quelli legati alla figura del
committente, Girolamo Godi, sospetto di frequentazioni ereticali, il che
fornisce una possibile pista di lettura alla decorazione degli interni, che
Giorgio Vasari vanta, nel 1568, come autentico artefice della villa; e
inoltre quelli fissati all'ancóra non inoppugnabile cronologia
dell'intervento. Ma tutto ciò non impedisce di cogliere a Lonedo il primo
dischiudersi dell'intelligenza di Andrea nell'architettura delle costruzioni
suburbane: nelle proporzioni delle stanze, nella loro distribuzione, che
Wittkower considerò prodromo decisivo di tante altre realizzazioni, nel
rapporto col paesaggio (che la correzione del trattato avrebbe viceversa
sconquassato), in certi particolari, come la rigorosa serliana posteriore.
E nulla toglie al fascino dell'insediamento, puntualmente colto, nel
1954, da Luchino Visconti, che vi ambientò non poche scene di Senso.
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