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Dalle partiture dei piani impostati su un alto basamento e individuati da specifiche fasce marcapiano, emerge il settore centrale che, leggermente avanzato rispetto alle ali, contiene il pronao del piano nobile, composto dalle quattro semicolonne con i capitelli corinzi, raccordati ai due lati da ricchi festoni di frutta; il telaio architettonico serve ad inquadrare rispettivamente le aperture del piano nobile e quella centrale del piano sottotetto la quale posta incongruamente al di sotto della trabeazione in qualche modo disturba l'unità della composizione.

A parziale rimedio a tale anomalia, dettata da necessità funzionali, si inserisce il timpano triangolare, coronato dalle tre statue acroteriali su alti basamenti quadrati, che riesce ad integrarsi grazie alla lavorazione delle modanature e alla loro continuità con l'intera cornice di gronda, armoniosamente con il resto della facciata. Nel dettaglio, gli elementi architettonici, che vennero assemblati secondo i canoni del rinnovamento del linguaggio tipicamente neoclassico, rivelano alcuni passaggi derivanti dall'adattamento della fabbrica, come la sequenza non perfettamente proporzionata delle finestre o la riproposizione delle due più piccole circolari presenti ai lati del portale d'ingresso.

Villa Fabris

La riprova degli adattamenti della fabbrica si riscontra nella diversa conformazione delle aperture esistenti sulla facciata verso il parco, in cui, sempre nel settore centrale, si ritrovano le stesse due aperture circolari ai lati del portone. Qui solo l'elegante poggiolo in pietra, sostenuto da semplici mensole, ma sagomato a formare una sporgenza nella parte centrale e arricchito da una elaborata ringhiera in ferro battuto, ingentilisce con le sue forme l'insieme.

Un approfondimento della lettura di tali dettagli va certamente fatto nei riguardi della conformazione dei balaustrini in pietra che formano la base di tutte le aperture-finestre presenti nel piano nobile, e che nel settore centrale si accostano al fusto delle colonne, alla raffinata fattura dei capitelli e dei due festoni, e alla pregevole lavorazione delle cornici che compongono il timpano e che lo fanno risaltare nei suoi chiaroscuri più accentuati rispetto al resto della cornice di gronda.

Altre riflessioni meritano le particolari tecniche di lavorazione usate nel trattamento degli intonaci che formano il bugnato rustico del basamento, come pure sono da menzionare le piccole dissonanze di alcune bugne in corrispondenza delle due piccole aperture circolari che si aprono ai lati del portone centrale o la presenza dei grandi vasi posti a coronamento delle torrette dei due camini.

Pur non conoscendosi, a tutt'oggi, l'autore o gli autori dell'opera, a livello di ipotesi rimane l'attribuzione ad Antonio De Boni, architetto neoclassico feltrino, autore di numerosi edifici anche in ambito vicentino, citato da R. Cevese nella sua prima catalogazione sistematica delle ville vicentine. Resta e va evidenziato il significativo apporto dato dalla presenza del complesso alla evoluzione della storia della architettura locale.

Gli interni, la cui distribuzione non si discosta dalla tradizionale pianta con sala passante centrale, nonostante le modifiche e le aggiunte apportate dagli ultimi proprietari, hanno conservato l'assetto strutturale originario soprattutto nelle coperture, nei solai, nei soffitti a cassettoni completato dalle decorazioni, nelle pitture murali delle sale, o, ancora, nella piccola cappella collocata in maniera singolare in rapporto al corpo delle scale.

Il parco, nella sua configurazione attuale, rimane una presenza rilevante nell'economia del complesso, perché accoglie un impianto arboreo ricco di essenze, disposto lungo un asse principale che si imposta sull'asse di simmetria della facciata del corpo padronale. Completano la sua configurazione i resti delle case seicentesche ed il loggiato in forme neoclassiche accostato al corpo centrale. L'accesso al parco poteva avvenire in maniera indipendente dalla villa attraverso un portale d'accesso ricavato nell'estremità del fronte-strada. La tinaia, piccolo edificio di servizio addossata al muro di cinta sul lato destro del parco, va letta, soprattutto, come testimonianza di cultura materiale, documentando con le sue caratteristiche, una fase delle attività cui si dedicò la famiglia in epoca storica.


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