|
Tale biodiversità è collegata
al numero di specie presenti e dipende strettamente dal loro grado di
inquinamento.
In tal senso, se prendiamo come esempio il tratto di fiume Sile che interessa
il comune di Silea, è possibile notare come siano completamente
scomparse le più importanti specie indicatrici del grado di salute
del fiume (gambero di fiume, lampreda, trota fario, barbo) e come si stiano
sempre più diffondendo altre specie più adattabili alle
mutate condizioni ambientali (alborella, cavedano, scardola).
Nuove presenze invece, sono collegate al regime di tutela
imposto dall’istituzione del Parco del Sile. Molti cittadini, infatti,
percorrendo le rive del Sile, avranno notato l’incremento degli uccelli
ed in particolare di folaghe, aironi cenerini, cormorani, germani reali
e gabbiani comuni. Alcune di queste specie ed in particolare i cormorani,
essendo uccelli ittiofagi, negli ultimi anni stanno creando seri problemi
alle attività legate alla pesca sportiva.
Generalizzando, per quanto riguarda il Sile ed i suoi
affluenti, è possibile affermare che, in termini ecologici, stiamo
passando da un precedente stato di equilibrio, basato su un’ampia varietà
di piante ed animali, equamente distribuiti, ad un progressivo cambiamento
caratterizzato da un minor numero di specie diffuse, però, in maniera
molto elevata e pertanto anomala. Un esempio ci viene dato
dall’analisi della vegetazione acquatica. Alla varietà di piante
rilevabili nel passato, si è passati alla quasi esclusiva presenza
del Potamogeton Pectinatus, una specie favorita da elevati livelli di eutrofizzazione
causati dalla eccessiva presenza di nutrienti in acque poco limpide.
Attualmente una ulteriore situazione di pericolo per la
fauna ittica del fiume Sile è costituita dall’introduzione di pesci
di derivazione alloctona, ossia provenienti da realtà bio-geografiche
diverse dalla nostra; inizialmente di derivazione americana (persico sole,
persico trota, pesce gatto), ora invece transalpina (acerina, pseudorasbora).
Riguardo agli affluenti del Sile, Melma e Nerbon, il loro “grado di salute”
dipende strettamente dai tassi di urbanizzazione ed industrializzazione
rilevabili lungo le aree attraversate. |
|
|
|
|
|
Per questo il Nerbon presenta un grado di
naturalità leggermente più elevato rispetto al Melma. Per
un semplice confronto basta osservare il loro corso poco prima della confluenza
con il Sile. Il Melma è popolato da pochissime specie vegetali e
da un limitato numero di macroinvertebrati, mentre il Nerbon presenta una
ricchezza naturale molto più elevata. Tra le aree che assumono qualche
valore di naturalità, bisogna ricordare i parchi delle ville venete.
In questi ambiti, talvolta ben ricoperti da vegetazione arborea e contornati
da giardini più o meno ampi, trovano rifugio molte specie di animali
che difficilmente sostano nel restante territorio. Anche in questo caso
tali aree assumono una funzione di rifugio per quegli animali che, trovandole
adatte al loro insediamento, vi si stanziano per poi diffondersi successivamente
nel circostante territorio, concorrendo, in questo modo, ad aumentarne la
biodiversità. È il caso ad esempio del colombaccio, della
ghiandaia, del picchio verde e di altri che, dopo un’assenza decennale,
da qualche anno stanno registrando un netto incremento proprio nelle aree
dove si sono nuovamente insediati. |
|
|
|
|
Ultimo infine, ma senz’altro non meno importante
sotto il punto di vista naturale, è l’ambiente agrario. Si tratta
però di una realtà che negli ultimi decenni ha perso molti
dei suoi valori di naturalità.
Come è già stato affermato in precedenza,
le cause sono attribuibili alle nuove regole imposte dal mercato, che hanno
costretto gli agricoltori ad utilizzare nuove modalità di conduzione
agraria.
I decenni passati, infatti, hanno visto l’eliminazione delle siepi che intralciavano
i lavori nei campi ed una massiccia diffusione dell’industria chimica. Ciò
ha portato ad una banalizzazione dell’ambiente ma, soprattutto, ha interrotto
gran parte dei cicli naturali che regolavano il nostro territorio, riducendo
le capacità omeostatiche di ripristino dell’equilibrio naturale.
In tale contesto, pur senza voler giudicare quanto è avvenuto, sono
apparsi a tutti evidenti i profondi mutamenti che hanno trasformato l’intero
agro-ecosistema. Mutamenti cui ora sarebbe possibile porre parzialmente
rimedio grazie ai contributi comunitari che finanziano abbondantemente tali
attività.
È auspicabile che questi interventi siano attuati anche a Silea,
poiché oltre ad essere giustamente remunerati servirebbero a ricomporre
parte delle realtà naturali scomparse. |
|