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   Tale biodiversità è collegata al numero di specie presenti e dipende strettamente dal loro grado di inquinamento.
In tal senso, se prendiamo come esempio il tratto di fiume Sile che interessa il comune di Silea, è possibile notare come siano completamente scomparse le più importanti specie indicatrici del grado di salute del fiume (gambero di fiume, lampreda, trota fario, barbo) e come si stiano sempre più diffondendo altre specie più adattabili alle mutate condizioni ambientali (alborella, cavedano, scardola).
   Nuove presenze invece, sono collegate al regime di tutela imposto dall’istituzione del Parco del Sile. Molti cittadini, infatti, percorrendo le rive del Sile, avranno notato l’incremento degli uccelli ed in particolare di folaghe, aironi cenerini, cormorani, germani reali e gabbiani comuni. Alcune di queste specie ed in particolare i cormorani, essendo uccelli ittiofagi, negli ultimi anni stanno creando seri problemi alle attività legate alla pesca sportiva.

   Generalizzando, per quanto riguarda il Sile ed i suoi affluenti, è possibile affermare che, in termini ecologici, stiamo passando da un precedente stato di equilibrio, basato su un’ampia varietà di piante ed animali, equamente distribuiti, ad un progressivo cambiamento caratterizzato da un minor numero di specie diffuse, però, in maniera molto elevata e pertanto anomala.   Un esempio ci viene dato dall’analisi della vegetazione acquatica. Alla varietà di piante rilevabili nel passato, si è passati alla quasi esclusiva presenza del Potamogeton Pectinatus, una specie favorita da elevati livelli di eutrofizzazione causati dalla eccessiva presenza di nutrienti in acque poco limpide.
   Attualmente una ulteriore situazione di pericolo per la fauna ittica del fiume Sile è costituita dall’introduzione di pesci di derivazione alloctona, ossia provenienti da realtà bio-geografiche diverse dalla nostra; inizialmente di derivazione americana (persico sole, persico trota, pesce gatto), ora invece transalpina (acerina, pseudorasbora). Riguardo agli affluenti del Sile, Melma e Nerbon, il loro “grado di salute” dipende strettamente dai tassi di urbanizzazione ed industrializzazione rilevabili lungo le aree attraversate.

  MORETTA TABACCATA, rara specie di anatra, svernante sul fiume Sile - foto Paolo Vacilotto, LIPU  
       
   

   Per questo il Nerbon presenta un grado di naturalità leggermente più elevato rispetto al Melma. Per un semplice confronto basta osservare il loro corso poco prima della confluenza con il Sile. Il Melma è popolato da pochissime specie vegetali e da un limitato numero di macroinvertebrati, mentre il Nerbon presenta una ricchezza naturale molto più elevata. Tra le aree che assumono qualche valore di naturalità, bisogna ricordare i parchi delle ville venete. In questi ambiti, talvolta ben ricoperti da vegetazione arborea e contornati da giardini più o meno ampi, trovano rifugio molte specie di animali che difficilmente sostano nel restante territorio. Anche in questo caso tali aree assumono una funzione di rifugio per quegli animali che, trovandole adatte al loro insediamento, vi si stanziano per poi diffondersi successivamente nel circostante territorio, concorrendo, in questo modo, ad aumentarne la biodiversità. È il caso ad esempio del colombaccio, della ghiandaia, del picchio verde e di altri che, dopo un’assenza decennale, da qualche anno stanno registrando un netto incremento proprio nelle aree dove si sono nuovamente insediati.

 
 
RARO ESEMPLARE DI CIGNO NERO AUSTRALIANO - foto Francesco Zanatta
 

   Ultimo infine, ma senz’altro non meno importante sotto il punto di vista naturale, è l’ambiente agrario. Si tratta però di una realtà che negli ultimi decenni ha perso molti dei suoi valori di naturalità.
   Come è già stato affermato in precedenza, le cause sono attribuibili alle nuove regole imposte dal mercato, che hanno costretto gli agricoltori ad utilizzare nuove modalità di conduzione agraria.
I decenni passati, infatti, hanno visto l’eliminazione delle siepi che intralciavano i lavori nei campi ed una massiccia diffusione dell’industria chimica. Ciò ha portato ad una banalizzazione dell’ambiente ma, soprattutto, ha interrotto gran parte dei cicli naturali che regolavano il nostro territorio, riducendo le capacità omeostatiche di ripristino dell’equilibrio naturale. In tale contesto, pur senza voler giudicare quanto è avvenuto, sono apparsi a tutti evidenti i profondi mutamenti che hanno trasformato l’intero agro-ecosistema. Mutamenti cui ora sarebbe possibile porre parzialmente rimedio grazie ai contributi comunitari che finanziano abbondantemente tali attività.
È auspicabile che questi interventi siano attuati anche a Silea, poiché oltre ad essere giustamente remunerati servirebbero a ricomporre parte delle realtà naturali scomparse.